Stranger things (Stagione 4)

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Eddie Munson deve morire!

I ragazzi sono cresciuti e il tempo dei giochi non esiste più; ora è tempo di crescere, ora è il tempo dell’orrore. Inutile girarci intorno: la quarta stagione di Stranger Things non ammette vani sentimentalismi, non ha bisogno di sciorinate revival, ma si concentra in primis sullo sviluppo (quasi) definitivo dei suoi protagonisti e, grazie a un ritorno più marcatamente orrorifico, a una massiccia campagna di marketing e alla formattazione anomala in capitoli – che grazie a una seconda parte non omogena per quantità di episodi e durata degli stessi, risulta anche un tantino stravagante – striscia fin dentro l’alveo di quelle serie di culto mainstream, finendo col diventare a pieno titolo un fenomeno planetario.

Eppure, nonostante un inizio intorpidito dall’esigenza di mostrare una realtà desiderata e già interrotta da clichè narrativi anche ampiamente abusati nella serie stessa – le quotidiane disavventure sociali di Undici in primis – gli eventi narrati in questa quarta stagione respirano nuovo ossigeno grazie alla divisione spaziale in cui operano tutti i protagonisti della “banda dei perdenti”: un raggruppamento di massa sarebbe risultato forzato e sicuramente non consono allo sviluppo degli eventi; d’altronde, una cooperazione a distanza contribuisce a tenere alta l’attenzione, sostenendo lo sguardo di chi, già smaliziato, intuisce già alcuni meccanismi che potrebbero annoiare, appiattendo la visione. Di conseguenza, la ricerca empatica di quei personaggi che vengono considerati propri beniamini occorre per perseverare nell’attesa stessa e si rivela sempre un ottimo escamotage per “costringere” lo spettatore a una visione più coriacea – in soldoni, se dovessimo analizzare questa quarta stagione di  Stranger Things solo da un punto di vista commerciale-mediatico, non troveremmo difetti nemmeno a inventarceli da soli.

Ora, medianicità a parte, è inutile negare che questo ritorno della serie ideata dai fratelli Duffer merita più di qualche applauso. Sia chiaro,  Stranger Things è grande intrattenimento, un passatempo tenebroso e fluorescente, delizia per lo spirito, ma le avventure di Dustin e compagnia nel pandemonio del Sottosopra sono perfettamente bilanciate tra orrore e dramma, confluendo verso un coming of age asciutto e perfino crudele. Fondamentale in questo senso, il personaggio del freak Eddie Munson – che poi freak non è, ma solo un lupo solitario estroverso, amante del metal e di Dungeon & Dragons… -, l’ago della bilancia, l’incarnazione stessa dell’anacronismo giovanile di cui i ragazzi soffrono e faticano a scrollarsi di dosso; Eddie, mal visto da tutti, in ritardo con gli anni scolastici ma solo spaventato, scostante e a suo modo eroico, incarna la giovinezza che è scivolata via, inadatta, inutile perché l’età della maturità non può più essere rimandata. E, allora, eccolo qui l’orrore: diventare grandi, certo, e poi Vecna, che è il passato e, quindi, il presente, dal quale è impossibile fuggire, perché costretti ad affrontarlo, per scoprire e capire noi stessi e lottare per un futuro che possa appartenerci. Ma, come lo stesso Eddie consiglia a Dustin in una delle scene più sincere dell’intera stagione, si può cambiare, rimanendo sempre sé stessi.

Strutturata in modo da far combaciare horror e thriller, melò e road-movie, la quarta stagione di  Stranger Things assolve con successo a tutti i compiti prefissatisi: incupire il tono del racconto, approfondire il background dei protagonisti e introdurre nuovi personaggi destinati a rimanere iconici – Eddie a parte, gran merito va all’intero filone russo e alle peregrinazioni di Hopper e Joyce. Magari in alcuni frangenti non guasterebbe un pizzico di tragicità in più ma, con ogni probabilità, da alcune dinamiche produttive non ci si può discostare. Nemmeno rifugiandosi nel Sottosopra.

 

Su Netflix 


Stranger Things –  genere: horror, drammatico, avventura; showrunner: Duffer Brothers;  stagioni: 4 (rinnovata); episodi: 7; interpreti principali: Winona Ryder, David Harbour, Finn Wolfhard, Millie Bobby Brown, Gaten Matarazzo, Caleb McLaughlin, Natalia Dyer, Charlie Heaton, Matthew Modine, Noah Schnapp, Sadie Sink, Joe Keery, Maya Hawke, Priah Ferguson, Jamie Campbell Bower, Joseph Quinn, Brett Gelman, Tom Wlaschiha, Gabriella Pizzolo, Nikola Duricko; produzione: Camp Hero Productions, 21 Laps Entertainment, Monkey Massacre;  origine: U.S.A., 2022; durata: 60-150′ minuti; episodio cult: 4×07; distribuzione: Netflix.

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