La ragazza nella foto di Skye Borgman

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Un mistero dalle tinte oscure che somiglia al gioco delle scatole cinesi più che un puzzle difficile da ricomporre. 

Un crimine semplice all’apparenza, ma che diventa molto più contorto e incomprensibile quando si approfondisce l’argomento e quando si conoscono i retroscena e i dettagli tenuti nascosti dai protagonisti. 

The girl in the picture ha la patina di un true crime ma non si ferma a indagare solo sulla tragica  fine di una ragazza giovane, di belle speranze  e dotata, si spinge molto più in avanti, incalzando lo spettatore con una serie di strani e incomprensibili misteri irrisolti. 

Skye Borgman, già regista di Dead Asleep (2021) e Abducted in plain Sight (2017)  traccia nel corso di trent’anni-di indagini-  un racconto labirintico e oscuro che ci sembra confuso in primo luogo per la mancanza di chiarezza nel riconoscere l’identità della vittima- perché di identità sembra averne molte – e del suo viscido aguzzino. 

La protagonista, ricordata nelle interviste con molto affetto dai suoi cari e dalle sue più strette amicizie, viene ricordata  infatti con i nomi di Tonya Hughes, Sharon Marshall e Linda Williams e oscura è anche l’identità e il ruolo di Clarence, solo apparentemente suo marito e molto più grande di lei.  

L’aria angelica e il carattere aperto e amichevole della giovane donna cela diverse personalità:  Tonya Hughes la sexy e appetitosa spogliarellista dello strip club; Sharon Marshall, la dolce compagna di liceo amichevole e ambiziosa al tempo stesso. 

E dietro queste diverse identità/vite si nasconde sempre Clarence, l’uomo possessivo e onnipresente nella vita della ragazza e non solo.

The girl in the picture esplora, in maniera ansiogena e poco lineare, il mistero di una morte che diventa alla fine l’indagine complicata sulla tragica vita di una ragazza che in fondo, non ha mai conosciuto la propria identità (il suo vero nome era Suzanne). 

Il punto è proprio questo: la morte di Suzie è solo il punto di partenza di altri innumerevoli e insondabili misteri. 

E da questo punto di vista Borgman ci sorprende perché il suo docufilm è una continua rivelazione e lo sguardo dello spettatore viene sorpreso dai  numerosi colpi di scena come fosse spettatore di una serie televisiva accattivante i cui misteri non finiscono mai. E invece è tutto orribilmente reale. Una giovane e bella ragazza muore e  il suo corpo viene ritrovato sul ciglio della strada. Ma la sua identità non è quella che sembra e il mistero reale, dopo la sua morte, sembra  proprio  la vita e l’identità di Suzanne e soprattutto  il rapimento di Michael (suo figlio) da parte di Clarence. 

Lentamente, in maniera apparentemente confusa ma che gradualmente acquisisce senso con il passare dei minuti, il film ricostruisce i tasselli dell’esistenza della giovane donna attraverso interviste, racconti e foto sparse, per l’appunto. 

Nel corso di indagini lunghe decenni viene a galla che anche l’identità dell’uomo cambia spesso forma e colore:  il vero nome dell’uomo non è  Clarence ma Franklin Floyd. Floyd infatti, proprio per evitare di essere arrestato dalle autorità figura sotto  molti pseudonimi, incluso Warren Marshall.  Dopo molti anni dalla morte di Suzie  e la condanna dello stesso  Floyd per il rapimento di Michael, l’uomo  ammette il rapimento e l’omicidio del piccolo Michael, che nel frattempo – dato che non era figlio biologico dell’uomo – era stato affidato a una famiglia. 

Complesso, tortuoso e poco lineare, questo documentario ha il pregio di non focalizzarsi sul quadro psicologico ed emotivo del colpevole e di non scadere quasi mai in una drammatizzazione eccessiva perché il racconto è vivo, pungente, il ritmo incalzante e i colpi di scena sono continui e richiamano sempre l’attenzione dello spettatore.  

Girl in the picture ha una struttura originale e insolita: ha tutto inizio con la morte di una giovane come tanti documentari dello stesso genere, poi lo sguardo del regista si focalizza su altro, salta avanti e indietro nel tempo, mescola intervista dei familiari e amici con i racconti dell’FBI e soprattutto si concentra sul capire la personalità e l’identità di Suzie e sul complesso mondo che la circondava, fatto di tanti misteri ma anche di tanto affetto.

La mancanza di drammatizzazione eccessiva e di demonizzazione del colpevole, porta la regista Skey Borgman a prediligere quindi  aspetti meno spettacolari e più umani,  come il ricordo e lo sguardo di chi resta ed è interessato a restituire dignità all’identità di una donna che non ha mai conosciuto il suo vero nome. 

Dal 6 luglio su Netflix


The girl in the picture; Regia: Skye Borgman; fotografia: Arlene Nelson; montaggio: Fernanda Tornagi  interpreti: Mark Chinnery, Natalie De Vincentiis, Sarah French, Dana Mackin, Meg Schimelpfenig;  produzione: Matt Birkbeck, Dani Sloane;  origine: USA, 2022; durata: 1h e 42′; distribuzione: Netflix.

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