Al Garib

  • Voto
3.5
Ameer Fakher Eldin

 

Classe 1991, nato nella ex Unione sovietica, per la precisione a Kiev in Ucraina, da genitori siriani, il giovane regista Ameer Fakher Eldin così presenta, in modo pregnante, la sua opera prima: «L’occupazione israeliana dei territori del Golan siriano nel 1967 è un evento caduto nel dimenticatoio. A più di cinquant’anni da allora, sono in pochi a conoscere le condizioni della popolazione siriana. Ho scritto e diretto il film nella mia terra natia, sentendo i suoni della guerra che riecheggiavano lontani, dietro le colline e quel confine aberrante con la Siria. Dove sono queste guerre? Sono oltre il confine stabilito dall’occupazione? O all’interno, nel mio paese natale? Di chi è questa guerra? Qual è la funzione di queste frontiere e dei loro fili spinati?»

Dopo aver essersi fatto le ossa con due corti e un documentario, Fakher Eldin si cimenta nel lungometraggio con Al Garib (titolo internazionale: The Stranger) dove, in un impianto visivo particolarmente raffinato, si narra una storia che conserva una forte memoria legata alla propria autobiografia familiare. Una storia che, in verità, a tratti, ha molti margini di oscurità e dei passaggi diegetici non sempre lineari ma che serve comunque ad illustrare più che un destino singolo, una condizione di profondo malessere esistenziale di chi vive nel purgatorio della vita di confine in un territorio occupato – un confine dettato dalle strettoie della politica e da una guerra ormai lontana nel tempo, depositata, ormai o quasi, nel solo ricordo di chi lì vi risiede.

Siamo in un villaggio delle Alture di Golan in una zona occupata da più di mezzo secolo dagli israeliani che pattugliano la frontiera; da lontano gli echi acustici della guerra in Siria e un protagonista che ha trascorso anni infruttuosi a studiare medicina nell’ex Unione Sovietica ma che non è mai riuscito a laurearsi. L’uomo sta attraversando una profonda crisi esistenziale, si ubriaca di continuo, è in profondo conflitto sia con la moglie e la figlioletta che trascura pur amandoli in fondo all’animo, ma soprattutto con il padre latifondista del paese, un uomo anziano, autoritario e molto religioso che immaginava un futuro diverso per questo unico figlio che disprezza adesso come un totale loser e che ha diseredato.

La svolta nella vita di Adnan (e qui deve intervenire nello spettatore una forte empatia per il personaggio accettando la sospensione dell’incredulità nel narrato) avviene, all’improvviso, quando si trova a salvare la vita ad un ragazzo siriano ferito, Basilea, che è fuggito in cerca del suo villaggio d’origine e della sua casa sotto un enorme albero di cui conserva la memoria tramite una vecchia fotografia. A questo punto Adnan, disattendendo alle attese della sua famiglia, alle tradizioni della comunità, alle convenzioni e le abitudini legate alla guerra e all’occupazione militare israeliana, decide di affrontare un viaggio tra realtà e sogno per cercare di realizzare il desiderio di Basilea…

Tanti echi e reminiscenze del cinema di Andrej Tarkovskij  (in particolare Nostalghia, 1983)  si legano, forse ancora in una sintesi non del tutto compiuta, con la ricerca di una memoria autobiografica per un cinema che vuole essere, al contempo, poetico e politico – come nei lontani anni Settanta.

In Al Garib (nella “Selezione Ufficiale” delle Giornate degli autori), ad appena trent’anni, Ameer Fakher Eldin ci consegna un film “one-man-band” (lo ha scritto, diretto e montato) assai deficitario dal punto di vista del tradizionale narrato hollywoodiana ma che possiede il merito dell’ambizione, soprattutto quell’ambizione di aspirare ad una sintesi alta tra morale e politica. Per intraprendere e percorrere l’ardua strada della poesia e dell’imperfezione, lontano dalle scorciatoie del piatto realismo.

Pur con tutte le inadeguatezze e gli errori che gli si possono imputare, meglio un film così che tanti inutili, perfettini prodotti televisivi.


 

Al Garib – Regia, sceneggiatura e montaggio: Ameer Fakher Eldin; fotografia: Niklas Lindschau; musica: Rami Nakhleh; interpreti: Ashraf Barhoum, Amal Kais, Mohammad Bakri, Amer Hlehel, Hitham Omari, Mahmoud Abu Jazi, Elham Araf, Cila Abusaleh; produzione: Fresco Films, Red Balloon Film; origine: Siria /Germania/ Palestina/ Qatar, 2021; durata: 112’.

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