Torino F.F. (Torino 22 – 30 novembre 2024): Eight Postcards from Utopia di Radu Jude e Christian Ferencz-Flatz (Zibaldone)

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Corre, la Romania, verso la liberalizzazione. Non si tratta di una maratona, bensì di una campagna pubblicitaria del 1995 che annuncia ai cittadini rumeni l’avvio del programma di privatizzazione di massa invitandoli ad abbracciare l’imprenditorialità. I tempi bui dell’epoca comunista sono ormai un ricordo, è giunto il momento di riscrivere, come abili amanuensi, la storia e la cultura di questo Paese. Tutte le strade ora portano al consumo compulsivo, una nuova ondata di prodotti e marchi si affacciano sul mercato locale. E allora perché non vendere pure il proprio Paese, trasformare la Romania in Dracula Park?

Fin dalla prima delle otto cartoline che Radu Jude trae dalle utopie capitaliste della pubblicità televisiva rumena, risalenti ai primi anni ’90 fino alla conclusione della transizione (intorno al 2008), lo spettatore è catapultato in una bolgia neo-colonialista. Del resto, la stessa cultura romena affonda le radici in una dominazione, quella romana, colonialista. Così la prima pubblicità riproposta dal regista rumeno è Adrian Mutu gladiatore intento a vendere casse di Pepsi. Ma sorge un interrogativo fondamentale: nella società dei consumi, cosa viene prima, l’umano o la pubblicità? È il sistema di produzione a rispondere ai bisogni individuali, o è piuttosto la pubblicità a plasmare tali bisogni?

La serrata rassegna di pubblicità alterna beni di necessità a mera chincaglieria, confondendo i confini esistenti tra i due, spronando il pubblico a riflettere sul proprio rapporto con gli oggetti di consumo. È evidente che il regime del consumo ha preso il posto di quello comunista nel tentativo di totalizzare e controllare i desideri degli individui. Ogni cartolina diventa così il palcoscenico di una nuova conquista del nuovo regime.

In questo delirio totalizzante, l’apparato si propone innanzitutto di conquistare l’immaginazione e la fantasia di un popolo, sostituendosi alle figure mitiche della propria storia, come appunto la radice romana nel primo capitolo (“Storia dei rumeni”), fino a rivelarsi, nel quarto capitolo (“Magico miraggio”), capace di veri e propri miracoli, colonizzando, in una pubblicità di cioccolato, persino il Paradiso. Attraverso i nuovi miti del consumo, l’impero si espande nello spazio, vedasi il ripetuto spot di wurstel ambientato letteralmente nel cosmo, e nel tempo, come evidenzia il quinto capitolo (“Le età dell’uomo”) che delinea il percorso dell’uomo dalla nascita alla morte attraverso gli oggetti di consumo.

Innestandosi sul desiderio, l’impero prende possesso dei corpi, determina le dinamiche tra i generi. Nel godardiano ottavo capitolo (“Maschile femminile”) Jude ripropone l’esposizione dei corpi nella vetrina televisiva, la loro riduzione a particolari anatomici in base al genere: gambe e seni per le donne nelle pubblicità di moda e di pornografia, braccia e addominali per gli uomini negli spot sportivi. Il tono in queste otto cartoline si mantiene sul piano del divertissement. Il regista rumeno, accompagnato nel lavoro di raccolta e selezione del materiale dal filosofo Christian Ferencz-Flatz, risulta sentitamente dilettato da certe modalità ingenuamente kitsch di esporre la merce, del tutto impensabili oggi nell’epoca dei social media e di una cultura più “corretta” e standardizzata.

Solo a sprazzi emergono approcci più analitici. Nel capitolo 7 (“Anatomia del consumo”) si estrapolano dalle pubblicità già presentate una serie di gesti ricorrenti. Questo tentativo di semiologia del corpo mette in luce la dimensione teatrale della recita neoliberale. L’unico segmento “eccezionale” mostra il dietro le quinte della produzione di uno spot, simile a una scena presente nell’ultimo capitolo di Do Not Expect Too Much from the End of the World, in cui l’attore, costretto a enfatizzare ogni sillaba per vendere meglio il prodotto, viene portato allo stremo.

La lunga carrellata di pubblicità arriva anch’essa a stremare lo spettatore, ma anche a ridurre progressivamente il peso della vendita del prodotto (paradigmatica la chiusura del settimo capitolo con il “lancio” di un prodotto che va in frantumi) a dispetto appunto del gesto e del corpo che ritrovano una geometrica centralità nel palcoscenico invetrinato dello schermo. Ecco allora arrivare il grande coup de théâtre finale con l’Apocalisse verde dell’epilogo, in cui, nel mezzo di questo vaneggiamento antropocenico, si manifestano attimi di invasione barbarica del mondo animale e naturale, rivelando, all’interno dell’impero neocapitalista, un inatteso e dirompente inconscio ambientalista, estremamente attuale.


Eight Postcards from Utopia (Opt ilustrate din lumea ideală) – Regia: Radu Jude, Christian Ferencz-Flatz; montaggio: Cătălin Cristuțiu; suono: Ștefan Ruxandra; produzione: Alexandru Teodorescu per Saga Film; origine: Romania, 2024; durata: 71 minuti.

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