Pino Daniele – Nero a metà di Marco Spagnoli

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Arriva in sala,  Pino Daniele – Nero a metà, documentario scritto da Stefano Senardi e Marco Spagnoli (anche regista), che continuano il loro viaggio nella storia della canzone d’autore italiana dopo il successo di Franco Battiato – La Voce del Padrone, vincitore del Nastro D’Argento come miglior documentario nel 2022. Si comincia in medias res con l’esecuzione live di A me me piace ‘o blues la canzone probabilmente più significativa dell’album che dà il titolo al film, Nero a metà, per l’appunto: terzo long-playing di Pino Daniele dedicato al cantante degli Showmen, Mario Musella, scomparso poco prima della pubblicazione del disco, e definito dallo stesso Daniele “nero a metà” in quanto figlio di madre napoletana e di padre nativo americano (però il neologismo – capiremo nel corso del film – si presta pure a intendere un certo modo di stare al mondo, a cavallo tra diverse culture, di cui il protagonista del doc è stato un ottimo interprete). Quindi parte il voice over affidato a Senardi – ex manager ligure, amico di lunga data e storico produttore di Pino – il quale incontra in carne e ossa una lunga serie di testimoni oculari, e auricolari, dell’epopea del cantautore napoletano: amici, colleghi, gente comune; tra cui si riconoscono i vari Enzo Avitabile, Tullio De Piscopo, James Senese, La Nuova compagnia di canto popolare, etc. artisti di straordinaria bravura, che danno la misura della grandezza del soggetto biografato. Il quale – si scopre guardando il doc – al principio voleva essere semplicemente un chitarrista, essendo bravo come Carlos Santana e John McLaughlin. Anzi “voleva solo suonare la chitarra” – ricorda qualcuno: “del successo non gliene importava niente”. E perciò paradossalmente il successo è arrivato, immediatamente; pervia di un talento innato che porterà la fortuna ad arridergli ad onta di una certa qual scontrosa timidezza. La stessa timidezza che lo legherà ad un altro formidabile genius loci come Massimo Troisi, come lui prematuramente scomparso, e come lui rimasto stampato nei murales della città e nei cuori dei napoletani. Si capisce in breve che il testimone più interessante è però proprio la città di Napoli (“Napoli centro”, si premura di precisare Enzo Gragnaniello “che è ben diversa dall’hinterland”), che ha plasmato il sound così peculiare di Pino, fatto di retaggi blues e tradizione folkloristica partenopea. Un suono nato dagli umori di quei vicoli, in bilico tra miseria e allegria (anzi “alleria” per dirla col dialetto – pardon: la lingua adottata da subito e per sempre da Daniele: il napoletano). Il rhythm and blues del cosiddetto “naples power”, quel tipico sound che emerse dalla Napoli degli anni ’70  grazie a gruppi fondamentali per la formazione di Daniele come gli Showmen del già menzionato Mario Musella, o i Napoli centrale di James Senese che poi diverrà il suo saxofonista preferito, quello che Clarence Clemons è stato per Bruce Springsteen. Daniele – spiega il doc, anche grazie al colto parere di Gino Castaldo e Carlo Massarini – riuscirà a catalizzare nella sua esperienza solistica la rinascita della canzone napoletana che, dopo l’irruzione del rock sulla scena, abbandona definitivamente la sua lunga tradizione melodica per dare vita a una koinè linguistica in cui quella tradizione però sopravvive ibridandosi col jazz, il blues, e le mille influenze importate d’oltreoceano. Una cifra “glocal” in cui senza mai rinnegare le radici, a partire dalle liriche dialettali, si accettano le commistioni cosmopolite che sfoceranno in un suono universale. Un melting pot strumentale che è figlio della storia napoletana, anche fisicamente come si capisce anche solo sbirciando le biografie di Senese e Musella: figli di soldati di stanza nella base americana lì dai tempi della liberazione, la 92nd Infantry Division: un pezzo di America dentro la città che influenzerà tutti i musicisti di quella generazione. Come è ovvio in un film così non mancano i materiali di repertorio che producono in chi li vede quel tipico struggimento fatto per metà di nostalgia di quei tempi andati, per chi ha avuto la fortuna di viverli; e per il resto di tutto il tempo che sedimentandosi sopra a quel repertorio vi aggiunge il brivido della storia. Qui il collegamento dal locale delle prime esibizioni di Pino Daniele per la mitica trasmissione L’altra domenica, risposta laica e progressista a Domenica In, inventata dal genio di Renzo Arbore. Oppure un pezzo d’archivio tratto da Mixer, con Gianni Minà che pone al soggetto biografato le sue solite domande argute. Quindi le immagini dello storico concerto del 1981 in una Piazza Plebiscito assiepata di centinaia di migliaia di persone desiderose di gettarsi definitivamente alle spalle le piaghe ancora aperte del terremoto. Immagini, volti, parole e soprattutto note che non potranno lasciare indifferenti i tanti amanti del cantautore napoletano, e più in generale chiunque apprezzi la buona musica, che mai come stavolta è pure un pezzo significativo di cultura popolare e insieme sofisticata, local e global, idiolettica e universale. L’unico difetto è dato a nostro avviso dall’accumulo qua e là ipertrofico di materiali, che determina talvolta un effetto di saturazione. Si avverte infatti col passare dei minuti un certo senso di stanchezza, rimpiangendo la mancanza di un plot che pure in un doc ci ha da stare: qui si esaurisce in sostanza nel fil rouge dipanato non sempre con la giusta dose di empatia dal peregrinare del narratore/co-autore sulle tracce dell’artista commemorato e rimpianto. Resta comunque, in definitiva, dopo la visione di questi abbondanti 94 minuti, la sensazione che Pino Daniele – uomo a quanto pare un po’ permaloso e di poche parole non sempre del tutto comprensibili dato il mormorio dialettale dietro cui celava la sua timidezza da gigante buono – parlasse in realtà con l’alfabeto delle note: una musica immortale diventata la colonna sonora di Napoli (sebbene ora sia insidiata dalla generazione dei trapper alla Geolier), perché della città racchiude la solarità e il dolore, traducendoli in un sincretismo formidabile capace di attraversare i confini, geografici e temporali. In sala dal 4 gennaio 2025.
Pino Daniele – Nero a metàRegia: Marco Spagnoli; soggetto: Stefano Senardi e Marco Spagnoli; fotografia: Gianluca Palma; montaggio: Jacopo Reale; musiche: Pasquale Catalano; interpreti: Pino Daniele, Stefano Senardi, Enzo Avitabile, Gino Castaldo, Tullio De Piscopo, Teresa De Sio, Tony Esposito, Carlo Massarini, James Senese, Pietra Montecorvino; produzione: Fidelio ed Eagle Pictures;  origine: Italia, 2024; durata: 94 minuti; distribuzione: Eagle Pictures.

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