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Voto
Che un documentario dal taglio socio-antropologico realizzato in Calabria e prodotto da una piccola ma coraggiosa casa di produzione indipendente come Naffintusi riesca a trovare la sala cinematografica ad oltre un anno dalla sua presentazione è circostanza talmente miracolosa (per stare al tema sacro del film), che vien voglia di rimangiarsi tutte le riserve ciliose che avemmo a a scrivere quando lo vedemmo in anteprima mondiale al Torino Film Festival del 2023 (e che, salvo qualche limatura riproponiamo quasi integralmente). Sale cinematografiche che, come è noto, a partire dal lock-down pandemico e dalla superfetazione di piattaforme televisive, stanno subendo una contrazione numerica epocale di spettatori, venendo affollate per lo più durante la proiezione di grandi eventi cinematografici cosmopoliti, soprattutto anglofoni, quasi sempre seriali, spesso d’animazione. Ecco, in un scenario siffatto, la battaglia di pellicole come Lux Santa, della summenzionata Naffintusi, e della casa di distribuzione che impavidamente accetta tale improba sfida del mercato, “Cattive Produzioni”, deve essere sostenuta senz’altro indugio, a dispetto di pareri come quello che leggerete di seguito e che, per quanto appena sostenuto, in definitiva lascia il tempo che trova.
Quando ci si accomoda sulle seggiole del cinema Romano, tra il Museo Egizio e Piazza Castello, per assistere all’anteprima mondiale di Lux Santa, al 41esmo Torino Film Festival, si avrebbe voglia di pensarne tutto il bene possibile. Perché si è letto della generosa passione del suo giovane regista, Matteo Russo, che debutta nel lungometraggio dopo una lunga palestra come autore di corti e videoclip, esperienze internazionali e come assistente sui set di già affermati colleghi. Perché, avendo letto il pressbook, si capisce di trovarsi nel solco di una tradizione di “cinema del reale” che ha di recente palesato un autore straordinario come Gianfranco Rosi, il quale è stato capace di vincere, a pochi anni di distanza, Leone e Orso d’oro. Perché la trama ci ha fatto pensare agli studi di Ernesto De Martino sui rapporti tra sud e magia o a quelli sui rapporti tra folklore, religiosità e cultura contadina dell’Italia meridionale dell’antropologo Luigi Lombardi-Satriani, nato a pochi chilometri dal luogo in cui si svolgono le vicende narrate del film: quella regione Calabria poco visitata dai registi nostrani, che ha tuttavia dato i natali (in realtà è nato a Palermo, ma è calabrese d’adozione) al padre del documentario italiano: Vittorio De Seta, che si è dedicato per lo più a narrare i modi di vivere del proletariato meridionale.
Ci autorizzava a pensarlo la biografia del regista e la trama del film, che narra la storia di una tradizione mistico-culturale della città di Crotone, che il 13 dicembre di ogni anno onora la memoria di Santa Lucia, ardendo delle monumentali piramidi di fuoco; lo fa non per caso: la leggenda vuole che la santa fosse cieca e quel fuoco serve simbolicamente a renderle la luce.
Il regista e il suo co-sceneggiatore, Carlo Gallo, decidono di raccontare questo rituale, seguendo da vicino i ragazzi del quartiere Fondo Gesù, intenti alle prese con questo serissimo cimento, che avviene in feroce competizione con le piramidi arse dagli altri quartieri. Non solo, assumendo la lezione del neorealismo duro e puro – quello per intenderci predicato e praticato da Cesare Zavattini, in storici film a episodi come Siamo donne o L’amore in città – il regista crotonese e il suo sceneggiatore decidono di seguire i protagonisti di questa storia anche nelle pieghe più riposte delle loro vicende biografiche, con un coefficiente di verosimiglianza totale, sceneggiando e drammatizzando le rispettive esperienze di vita vissuta. Si assiste così all’incontro tra uno di questi “figli della violenza” con suo padre, assente da anni perché recluso in carcere; o a quello di un altro ragazzo del gruppo che riceve l’incoraggiamento del genitore fuorilegge in procinto di essere incarcerato. Tutto ciò tra tinelli italiani, strade sgarrupate, madri apprensive e zii pittoreschi.

E fino a qui tutto bene, come si dice ne L’odio di Mathieu Kassovitz, “il problema non è la caduta ma l’atterraggio”; ovvero, fuor di metafora, come tutto questo ingombrante proponimento d’intenti, fatto di nobili retaggi e candide ambizioni, provi a farsi cinema. Perché qui, secondo noi, qualcosa non torna.
Ci è infatti parso che il giovane regista, forse abbacinato dall’azzeramento della distanza con l’oggetto della sua rappresentazione (ha candidamente confessato di essere stato introdotto nelle “vite degli altri”, fino a stringere con loro un rapporto di autentica amicizia), abbia faticato a metterla adeguatamente a fuoco (a proposito di lux). Al di là delle intenzioni insomma (“Lux Santa ha l’intento di sollevare il velo dalla cronaca nera – ha dichiarato Matteo Russo nel pressbook – e mostrare spiragli di una bellezza solitamente nascosta. Documentare una tradizione millenaria che possa resistere negli anni e innalzarla a livello spirituale”), il film fatica a spingersi oltre una documentazione superficiale del panorama geografico e sociale che sceglie di ritrarre. Come se gli autori individuino il fenomeno senza riuscire a trasformarlo, adeguatamente, in racconto cinematografico; arrestandosi alla mera radiografia sociale ed escludendo non solo – come è ovvio – ogni giudizio sulla materia narrata, ma anche una qualsivoglia rielaborazione drammaturgica di reperti umani e sociali che si desidera rappresentare nella purezza della loro nuda essenza. (Che è però – a ben vedere – la stessa critica che i detrattori muovono al cinema del succitato Rosi) .

Dal 22 gennaio Lux Santa inizia il suo tour cinematografico dall’Ariosto Anteo Spaziocinema di Milano attraversando tutto lo Stivale e transitando anche dal Cinema Aquila (vedi sotto) di Roma. Gli auguriamo la fortuna che il suo coraggio merita.
Presentato in Concorso documentari al Torino Film Festival 2023
In sala dal 22 gennaio 2025
A Roma il 4 febbraio alle ore 21.00 al Nuovo Cinema Aquila alla presenza del regista.
Lux Santa – Regia: Matteo Russo; soggetto e sceneggiatura: Matteo Russo e Carlo Gallo; fotografia: Andrea Manenti; montaggio: Mattia Soranzo; musica: Ginevra Nervi; interpreti: Francesco Vaccaro, Francesco Scarriglia, Enrico Scerra, Antonio Citati; produzione: Orazio Guarino e Marco Santoro per Naffintusi in collaborazione con Rai Cinema; origine: Italia, 2023; durata: 75 minuti; distribuzione: Cattive Produzioni.
