Per fare un film. Dialoghi sulla collaborazione creativa (II° Edizione – Roma): Incontro con Francesca e Paola Comencini

Di recente nella storica sala romana del “Farnese”, si è svolto, organizzato dalla Scuola d’Arte Cinematografica Gian Maria Volontè, un incontro-dibattito, moderato da Boris Sollazzo, tra la regista Francesca Comencini e la scenografa e costumista Paola Comencini. Nel corso di esso si è approfondito il significato della collaborazione nel mestiere del Cinema, sviscerando, nello specifico, il rapporto tra regia, scenografia e sceneggiatura, oltre a ricordare l’importanza delle sale cinematografiche come luoghi cruciali per fare rete e condividere l’amore per la 7 Arte.

Domanda: Partiamo da Il Tempo Che Ci Vuole. Come giudicheresti, Paola, quest’esperienza con un racconto così particolare?
Paola Comencini: mi sono divertita moltissimo fare questo film. C’è una parte drammatica, emotiva consistente, ma ci siamo divertite nella ricostruzione dei set d’epoca. C’è molta documentazione dietro il lavoro effettuato. Francesca è molto precisa: nella sceneggiatura c’era tutto. Quindi, alla fine, è stato un lavoro piacevole e non eccessivamente faticoso.

Tu hai dovuto ricostruire due set: quello del film e quello di Pinocchio.
P.C.: Esatto. Non dimentichiamoci che la scenografia di Pinocchio è stata curata dal più grande di tutti, Pietro Gherardi. C’era un rispetto sommo verso il suo genio, ma anche del timore. Papà, tutto sommato, ci avrebbe perdonato.

Francesca, c’è stata una parte del lavoro con Paola che è stata incisiva per il lavoro di scrittura e riscrittura?
Francesca Comencini: Innanzitutto voglio dire che sono molto contenta di questo nostro incontro in una sala cinematografica, poiché di questi tempi non dobbiamo darlo per scontato; dobbiamo difendere le sale. Io in questo cinema tantissimi anni fa ho visto Family Life di Ken Loach, il cinema era diverso, ma è proprio uno di quei film che mi ha formato. Il cinema in cui hai guardato certi film te lo ricorderai per sempre. Mi sembrava giusto sottolinearlo in questo determinato momento storico.
Per rispondere alla tua domanda invece, in genere si scrive la sceneggiatura da soli o con gli altri e si inizia ad attivare l’immaginazione sugli ambienti, una geografia mentale di case e piazze, talvolta immaginaria e in altri casi molto reale. L’ultimo mio film è molto personale, un’autofinzione di ricordi personali (non più un’autobiografia) del rapporto, dall’infanzia fino all’età adulta, con nostro padre. C’è stato, a tal proposito, uno scambio profondo con Paola, sebbene molto professionale in cui ci siamo lasciate andare. In questo caso, molto più che nei film precedenti, la sceneggiatura è stata determinante. In Mobbing, ad esempio, la sceneggiatura non era scritta. Tutto era iniziato in chiave documentaristica in quanto avevo letto che in Italia si moltiplicavano delle azioni contro un lavoratore o una lavoratrice per costringerlo/a ad andarsene dal suo posto di lavoro, e nel caso delle donne avveniva (e avviene) soprattutto se le lavoratrici sono madri. Non avevamo un vero budget per gli ambienti. Ogni film poi è diverso e noi abbiamo fatto sempre film a basso costo. Il nostro rapporto si contraddistingue perché abbiamo una forte intesa e ci scambiamo spesso materiale e immagini. In linea di massima, all’inizio decidiamo l’impronta da dare al film. Ad esempio, discutiamo se andare a girare in ambienti reali o ricostruiti in teatro. Nel caso de Lo Spazio Bianco abbiamo lottato contro tutto e tutti pur di ricostruire il reparto, per renderlo più onirico. Spesso nei film italiani si intravedono delle case lussuose, che non coincidono col lavoro e le possibilità economiche del personaggio. Noi abbiamo prestato sempre molta attenzione a questo aspetto. Paola inserisce sempre qualcosa di universale, che arriva dentro la psiche del personaggio: se è un’eterna ragazza, una sognatrice o un sognatore.
P.C.: È molto difficile cercare gli spazi quando il personaggio non è ben delineato in sceneggiatura.

Tu, Paola, sei una sorta di psicologa prima di arredare.
P.C.: Se voglio fare il lavoro per bene, devo conoscere il personaggio. Quando i personaggi restano generici, dovrei andare a senso.
F.C.: La collaborazione tra regista e scenografa si ripercuote poi tantissimo sul personaggio. L’attore deve muoversi a suo agio nello spazio. E questo incide inevitabilmente sulla recitazione e sulla riuscita del film.

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