43° Torino Film Festival (21-29 novembre 2025): About a Hero di Piotr Winiewicz (Concorso documentari)

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Chissà se tra le sue pre- visioni il Kaspar Hauser di Werner Herzog avrebbe mai contemplato un futuro nel quale il suo nome proprio sarebbe sato attribuito a un’intelligenza artificiale, incaricata oltretutto di realizzare un documentario alla maniera del suo regista. About a Hero, esordio del polacco Piotr Winiewicz, parte da questo audace presupposto e lo mette in pratica, prendendo come spunto proprio la personalità artistica tout court del cineasta tedesco, che ha sempre innestato la concretezza della deperibile e materica esperienza umana nella ricerca e nell’attuazione dell’ atto creativo; uno di quegli autori che ha fatto del cinema la lingua assoluta delle proprie ossessioni e tensioni visionarie in conflitto e in sublimazione contro la vivida e coriacea sostanza della realtà, il cui processo di penetrazione a attraversamento comporta la concreta fatica e il laico sacrificio della carne e del sangue.

Più che un paradosso, sembra essere una precisa provocazione la volontà di dimostrare com’è possibile creare un intero film seguendo le direttive di un’entità astratta alla quale è stato chiesto di scannerizzare la filmografia herzoghiana e di acquisirne gli elementi in grado di simularne qualcosa di più di una storia, un argomento, un tema ricorrente. Parliamo della riproduzione di uno sguardo specifico, riconoscibile e impresso nel corso di un lungo tempo sulle trasformazioni culturali, sociali, antropologiche e scientifiche che si sono succedete nel corso della Storia, nei vari formati e generi concessi dalle possibilità del linguaggio audiovisivo. Si potrebbe dire allora che l’ utilizzo, annunciato da molto e ora accelerato, dell’AI rappresenti un crocevia inevitabile per una riflessione sull’avanzamento, o sull’involuzione, della funzione della regia in rapporto tanto con il reale che con la finzione, includendo all’ennesima potenza il confine liminale tra questi due concetti, e che proprio per questo abbia un senso mettere a confronto l’opera e la figura di Herzog con un simile, epocale passaggio. La dimensione metalinguistica è da subito annunciata, con la voce registrata del vero Werner, sprezzante e ostile (a ragione) contro l’ipotesi che l’intelligenza artificiale possa produrre un film all’altezza se non addirittura migliore dei suoi.
Winiewicz e i suoi collaboratori non sono tanto ingenui da voler competere su un piano di valore  con il loro referente e, da un punto di vista teso a criticare e problematizzare la questione, il risultato sarebbe in grado altresì di far vedere l’impoverimento e lo svuotamento di un linguaggio tanto ricco, complesso, stratificato nel momento  cui viene meccanicamente, algoritmicamente, formalmente ricostruito. L’intento, alla fine, resta non completamente chiaro o risolto, non riuscendo mai a far diventare la storia selezionata e sviluppata la messa in abisso del tema portante, ovvero  la degenerazione o il potenziamento del parallelo macrocosmo AI. Ma bisogna partire dalla storia, che ha indubbiamente a che fare con l’interesse herzoghiano per i personaggi bordeline, le cui morti traumatiche rappresentano un mistero, un enigma, un interrogativo da elaborare sul piano emotivo e da risolvere su quello investigativo ( un’investigazione che cerca di decifrare i segni all’interno delle immagini e delle auto-rappresentazioni, come in Grizzly Man o The Fire Within: Requiem for Katia and Maurice Krafft). In questo caso si parla di Dorem Clery, un operaio di una fabbrica nella fittiva cittadina industriale di Getunkirchenburg, morto in circostanze non meglio chiarite, sommariamente archiviate come suicidio, ma che sono più inquietantemente legate al macchinario ultratecnologico che l’industria per cui lavorava sta mettendo a punto. Una infinity machine capace di affiancare e poi di sostituire l’ essere umano in tutte le sue attività; non più soltanto le automatizzazioni delle fasi della catena di montaggio, ma un più avanzato livello di speculazione intellettuale che può duplicare ed esprimere, almeno nella sua manifestazione superficiale,  anche l’apparato delle emozioni e dei sentimenti, fino a un animistico bisogno di trascendenza. Una minaccia di controllo totale alla quale Dorem, per questo innalzato alla nomenclatura di “eroe”, si era opposto apertamente, fino a un probabile scontro mortale con la stessa onnisciente creatura elettronica. Ora sarebbe interessante, tramite un contro processo deduttivo, sapere che cosa il prompt artificiale Kaspar ha compreso e restituito della cosmogonia estetica e tematica perseguita da Herzog nei suoi viaggi alla fine di tutti i mondi possibili e immaginabili, incluse le zone più oscure e dimenticate della mente umana. Perché ciò che vediamo sullo schermo, con il racconto off di una voce palesemente contraffatta, per cui non era necessaria la precisazione nei titoli di coda, è la messa in scena di una panorama industriale e urbano  prevedibilmente grigio, opaco, ambiguo, ma così saturato dal monocolore di questa ambiguità da non lasciare nessuna via di fuga, apertura, sorpresa o turbamento .

Il tema è stato acquisito e trasformato in una tesi e le immagini si presentano quantomai espressione non di uno sguardo, appunto, e forse neanche della sua mimesi digitalizzata. Dietro la rarefatta apparenza, è come leggere dei dati e dei codici che vengono visualizzati su un display e che prendono la forma di quelle che potremmo associare a delle immagini realizzate da Werner Herzog. Su questa tessitura asettica e  virtualmente cerebrale,  è innestato inoltre il commento più o meno trasfigurato sul fatto che stiamo assistendo a situazioni potenzialmente fake, generate, manipolate, indirizzate da degli input che, alla partenza, sono comunque suggeriti e introdotti da una mente e da una voce umane. Un avvitamento che più che raddoppiare la percezione straniata di fronte all’assetto di un imminente e  radicalmente nuovo modo di narrare visivamente, suscita irritazione e fastidio, correndo il rischio di passare dal distanziamento al disinteresse. C’è poi tutta una curiosa parte dedicata alla moglie di Clery che, alla ricerca di una forma di consolazione per la sua vedovanza, trova nella protesi meccanica di un feticcio consumistico come il tosta pane domestico, il surrogato per il proprio soddisfacimento- erotico sentimentale. Viene da pensare che Kaspar, nell’esecuzione ottusa delle direttive ricevuta, abbia sconfinato dal contesto Herzog al contesto Cronenberg, essendo indubbiamente il regista canadese  più spinto nello sperimentare la contaminazione trasformativa e le combinazioni fusionali tra il corpo e la macchina, sempre per il tramite del desidero sessuale come connessione e collusione. La vera matrice documentaria è allora fin troppo esplicitamente rintracciabile nella discussione che si crea intorno alle risorse dell’intelligenza artificiale, con una posizione che non è demolitiva o stigmatizzante, ma neanche completamente entusiasta e ottimista. Il sistema vorrebbe infatti mantenere un residuo di ibridazione, anche se bisogna aspettare i titoli di coda per capire se le apparizioni di volti (ri) conosciuti, Vicky Krieps e Stephen Fry tra tutti, siano reali o anch’essi imitazioni smaterializzate fatte apparire e parlare a piacimento (incrementa la non chiarezza il fatto che Krieps interpreta proprio un personaggio e non se stessa).

La provocazione peggiore resta a prescindere l’entrata in scena finale, figura e voce, del finto Herzog, rappresentato come un individuo arido e strafottente, lontano dall’intensità e dalla generosità  di un artista che ha rischiato di perdere qualsiasi cosa per restituire l’autenticità e l’originalità di un’immagine, di una visione, di una percezione. Perché bisogna riportare  il dibattito sullo statuo tra vero e falso in un ambito etico e filosofico, e non nella ludica sperimentazione affidata al lancio di un comando vocale.

 


About a Hero – Regia: Piotr Winiewicz; sceneggiatura: Kaspar, Anna Juul ; fotografia: Emil Aagaard; montaggio: Michael Aaglud, Julius Krebs Damsbo; musica: Lasse Aagaard;  interpreti: Imme Beccard, Thomas Ebert, Vicky Krieps, Christian Preuss, Bianca Rusu, Bernd Tauber; produzione: Jakob Kirstein Hogel, Marc Iserlis, Paula Paizes, Sam Pressman, Bianca Rusu, Trey Terpeluk; origine: Danimarca/ Germania/ Usa, 2024; durata: 84 minuti.

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