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Quale può essere l’input che spinge a ideare una storia, in cui una preadolescente possa leggere nella mente dei propri genitori, svelandone i più loschi e umilianti segreti? È quanto ha ideato lo sceneggiatore e regista Frédéric Hambalek, (classe 1986) nell’opera Was Marielle weiss in Concorso all’edizione 2025 della Berlinale e ora approdata – cosa ormai abbastanza rara per un film tedesco – anche nelle nostre sale.
Un’opera in cui l’operazione di scrittura è molto strutturata e composita, dando vita a incastri e pensieri che danno il ritmo a tutto il film, coinvolgendo lo spettatore in una serie di scene che potremmo collocare tra la commedia e il dramma familiare – con una fotografia basata sulla limpidezza e minimalismo di interni casalinghi a volte troppo asettici, come a rimandare alle perfette apparenze dietro le quali si celano segreti e misfatti, che, non a caso, sarà la bella teenager Marielle, un adorabile personaggio quasi fiabesco, a svelare a noi spettatori.
Apparentemente sembrerebbe una vendetta filiale nei confronti di due genitori in preda alle loro debolezze più deprimenti per una figlia che potendo leggere nel pensiero, riesce addirittura a sentire le parole dei loro discorsi in momenti intimi e imbarazzanti.

Invece il plot del film subisce un’inversione e quella che sembrava un’operazione di giustizialismo filiale, si trasforma in una storia comica in cui l’invasione dell’adoloscente nella vita dei genitori li conduce verso azioni che non sono soliti fare, come se ci fosse una sorta di corto circuito.
I dialoghi sono surreali seppur basati su una saggezza che però a tratti, ma non sempre, risulta poco credibile rispetto alla definizione dei personaggi, che subiscono dei cambiamenti repentini in un processo di regressione o forse disinibizione e poi di riacquisizione dei “soliti” stili di vita.
Ci si domanda se veramente potesse essere determinante l’intervento della telepatia per stigmatizzare le disfunzionalità di un nucleo familiare.
Il pregio di questo film è la vivace comicità dei dialoghi in cui il paradosso diventa un metro di comunicazione incomparabile e la boutade l’unica alternativa a dei fenomeni affettivi piuttosto frequenti nella struttura della famiglia contemporanea, spesso disfunzionale.
Il tradimento di un coniuge o il fallimento lavorativo come sono raccontati in questa opera, sono delle espressioni della società contemporanea, che si è svelata nella propria umana debolezza rispetto ai canoni tradizionalisti, che celavano fratture e finzioni laceranti di tipo assolutamente antropologico, oggi invece analizzate in un’accezione psicosociale che ne riconosce la fisiologia senza giudicarle.
Molto probabilmente Frédéric Hambalek ha voluto sottolineare la resistenza degli stereotipi a trasformarsi in accettazione del fallimento dell’idea della famiglia come comfort zone per eccellenza, in cui non si può più pensare al nucleo familiare come infallibile e per questo però non per forza di cose destinato a sfaldarsi.
La morale sembra non essere un elemento dominante ma è la parabola della storia che la fa comunque echeggiare, in un finale piuttosto divertente ma forse non tanto sorprendente quanto ci saremmo aspettati.
In Concorso al Festival di Berlino 2025.
In sala dal 27 novembre 2025.
Lo schiaffo (Was Marielle weiß) – Regia e sceneggiatura: Frédéric Hambalek; fotografia: Alexander Griesser; montaggio: Anne Fabini; musica: Steffen Pfauth; scenografia: Bartholomäus Martin Kleppek; interpreti: Julia Jentsch, Felix Kramer, Laeni Geiseler, Moritz von Treuenfels, Mehmet Ateşçi, Andreas Dresen; produzione: Philipp Worm, Tobias Walker per Walker + Worm Film e ZDF/Das Kleine Fernsehspiel; origine: Germania, 2025; Durata: 87 minuti; Distribuzione: Lucky Red.
