Intervista a Daniele Ciprì, autore di Pontifex – Un ponte tra la misericordia e la speranza

Pontifex: Un ponte tra la misericordia e la speranza è il nuovo docufilm di Daniele Ciprì riguardante il sacro, presentato in occasione della 20°edizione della Festa del Cinema di Roma ed arrivato qualche giorno fa nelle sale. Lo abbiamo intervistato per confrontarci sul modo di sviluppare questo lavoro, all’interno del suo percorso artistico e in vista dei suoi successivi progetti.

Domanda: Pontifex arriva dopo un altro lavoro a sfondo religioso, Roma, santa e dannata, disponibile tra l’altro su Rai Play. Come si collegano questi tuoi ultimi due lavori?
Daniele Ciprì: In entrambi i casi mi è arrivata una proposta di lavoro. Prima di dire sì, deve scattarmi un input. Con Pontifex quest’input mi è giunto attraverso la figura di Monsignor Fisichella. La prima intervista è avvenuta 7 o 8 mesi prima delle riprese; Papa Francesco era ancora vivo, infatti si sarebbe dovuto vedere alla fine del film ma quello che importava era averlo all’intero del repertorio. Fisichella mi ha indotto molto a riflettere attraverso le sue maniere profonde: d’altronde tutti abbiamo bisogno di riflettere. Con Colasanti, che mi ha aiutato con i testi, ho materializzato quest’idea servendosi di una serie di visioni: il Mondo che parla, la Speranza, il Suicida che rappresenta l’umanità col suo malessere. Ho voluto creare un dialogo con lo spettatore senza puntare il dito. Io non sono nessuno per sostenere delle cose, come dice anche Fisichella. Mi sono fornito dell’audizione del teatro e delle forme dell’immaginario, del non-luogo praticamente. Io, difatti, non sono da nessuna parte, tranne quando cammino per Santa Croce in Gerusalemme con Rossella Brescia, andandomene per le vie di una Roma completamente  deserta. Roma Santa e Dannata è stato realizzato interamente l’anno scorso. Mi ha aiutato tantissimo la produzione: Minerva insieme a Ove Possibile. Gabriele Guidi mi è stato particolarmente d’aiuto. C’era bisogno del materiale dell’archivio, dei luoghi entro i quali girare, l’isolamento per le strade.. Ho esigenze molto elevate: ad esempio le scene presso Castel Sant’Angelo le ho girate di notte in quanto desideravo gli spazi liberi dalla gente. Ho avuto a disposizione anche un musicista, in maniera tale da avere del materiale audio che mi ricreassero il mood.

A proposito di ciò: come e stato lavorare con Emanuele Frusi per quanto riguardala musica?
Daniele Ciprì: ci siamo sentiti prima. È un musicista molto giovane che mi aiutato tanto nel tenere i tempi e e battute. Non è stato affatto un lavoro semplice poichè gli attori avevano veramente tantissimi testi da leggere. Sono molto soddisfatto perché tutte le cose che faccio, anche quando non sono i miei film, le penso dapprima per me e poi per gli spettatori. Se riesco ad emozionarmi io, posso osare.

Come è stato recepito questo tuo ultimo lavoro dal Festival a Roma?
Daniele Ciprì: il Festival mi ha ospitato. Il mio desiderio sarebbe stato quello di portare il Papa, non ci sono riuscito. Fisichella è venuto in sala a guardare il film. Sono abbastanza contento e gli organizzatori del Festival pure. Le riflessioni di partenza sono state sempre queste: ognuno di noi nel corso della nostra vita ha avuto dei dolori. Nel film vediamo ad esempio il percorso doloroso dei bambini malati. Rivedendo il film in sala ho compreso ancora di più la necessità di fare un film di questo tipo. Mi reputo un regista vasto, non mi fossilizzo su un aspetto o un genere. Mantengo sempre il mio mood e lo metto al servizio di altro. È un film che ti porta a riflettere su quello che succede nel mondo, grazie a chi teorizza tutta una serie di mali. Possiamo affermare che non è poi così tanto positivo, c’è un realismo con una negatività di fondo. Ho avuto poco tempo per la sua realizzazione: una settimana per le riprese ed un’altra settimana per il montaggio. Ero talmente gasato, non sono praticante ma mi piace tremendamente quando un filosofo, un teologo, un sacerdote mi parla. Vediamo anche nel film la riflessione sul silenzio: ormai tutti parlano, tutto è urlato, non c’è un momento di riflessione ma tanto meno di ascolto. Basti vedere anche le nuove generazioni. Quando vado a fare della docenza, mi accorgo della mancanza di una necessità. Vorrebbero fare i registi e i direttori della fotografia ma a volte pensano di più all’immagine. In questo caso, credo che valga la pena puntare il dito, per aiutarli. Ho conosciuto Goffredo Fofi, Alberto Farassino, Morando Morandini. Mi accorgo che anche per quanto riguarda la critica non ci sono più persone che portano la propria sensibilità nella scrittura e dunque nelle proprie rappresentazioni. È una rappresentazione nel parlare che fa anche parte della conoscenza della vita. Parlo della critica come potrei parlare del cinema e dell’arte. Ma anche della violenza. Siamo arrivati ad un punto in cui si preme un pulsante e si sgancia una bomba. È una violenza inaudita. Pontifex non aiuta ma fa riflettere.

Penso anche all’immagine del dipinto del bimbo in braccio la Madonna. È nell’arte che possiamo anche recuperare dei valori esistenziali universali. Hai quindi ribadito anche la potenza del Cinema, attraverso questo lavoro.
Daniele Ciprì: come dico spesso ai giovani, il Cinema dovrebbe ritornare all’idea di raccontare l’uomo anche nella sua disperazione. Ad esempio l’ultimo regista che abbiamo avuto in Europa è Kieślowski  con il Decalogo. Quel modo di fare Cinema non esiste più. C’è spesso protagonismo. Non riesce a far riflettere. Bergman, Tarkóvskij proponevano delle riflessioni. Questo modo di fare Cinema sta sparendo. Ormai si guardano solo i box office, gli incassi. È una tristezza infinita. Per me, poi, non c’è una differenza di generi, il documentario ha la stessa dignità di un film di finzione per stare in sala. E lo ha dimostrato. Ho fatto bene, per me stesso.

Hai dovuto calibrare immagini e parole. Procede per sottrazione. Non mancano dei momenti di silenzio, nei punti giusti.
Daniele Ciprì: raramente utilizzo tante parole nei film, laddove devo raccontare una storia. Costruisco tutto un immaginario intorno ad essa. Qui, all’interno di Pontifex, dovevo comunicare. Mi son servito pertanto di una voce alta, quella di Fisichella, e dei testi letti come monologo. Mi sono rifatto anche a Carmelo Bene, a quel tipo di Teatro e Cinema dove c’erano l’immobilità e la parola. Ho bilanciato, anche attraverso la documentazione delle visite di Papa Francesco, fino ad arrivare a disegnare attraverso la rappresentazione della suora.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *