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Voto
Ruth Slater è un’assassina. La sua esistenza si è interrotta vent’anni fa, in una fattoria desolata ai margini di un paludoso e gelido inferno chiamato Seattle. Un pomeriggio di sole, un telefono che squilla, una porta sprangata, gli occhi inquieti di una ragazzina innocente sono le ultime tracce di una ferita insanabile. Ruth Slater ha ucciso un poliziotto. Il motivo lo possiamo intuire attraverso un difficile gioco a incastri, che proietta sul piccolo schermo alcuni brandelli di una vita precedente ormai dissoltasi.
Così, stringiamo amicizia con Ruth prima ancora di conoscerla: la osserviamo affrontare la prematura dipartita della madre, il suicidio del padre. La vediamo stringere a sé la sorella minore Kathie (Aisling Franciosi), recitando un ruolo in fondo non suo. Diventiamo testimoni di una piccola felicità familiare basata sull’omertà, sulla fuga, su un libero arbitrio che non lascia spazio a precetti sociali. Quando una volante parcheggia ai margini dello strano focolare domestico, minacciando di sconvolgere quell’equilibrio così confidenzialmente precario, Ruth prende una decisione che interromperà una volta per tutte il tragico idillio. Ma andiamo con ordine e rientriamo nell’oggi. Avviciniamoci in punta di piedi ai cancelli del carcere da cui l’ex cop-killer, scontata la sua pena, si appresta a uscire. La sua nuova libertà ha un sapore diverso da quello che ci aspetteremmo.
Dopo aver spopolato al Concorso della Berlinale 2019 con Systemsprenger, la regista e sceneggiatrice tedesca Nora Fingscheidt ritorna dietro alla macchina da presa con un’altra System Crasher, in questo caso la bravissima Sandra Bullock, qui nei panni di un’affranta detenuta appena reintrodotta alla civiltà. È facile provare empatia per questa sorta di antieroina senza macchia e senza paura, costretta dal destino ad attraversare il fatidico punto di non ritorno: una serie di sfortunati eventi grava sul suo passato di orfana, nonché di altera outsider per scelta e per necessità. Ruth non può certo definirsi Unforgivable: sul suo capo pende il cappio della solitudine, della miseria, della spietata legge del taglione che regola una selezione naturale tutta statunitense. L’amara consapevolezza con cui la protagonista si getta nella fossa dei leoni basterebbe a trasformare lo stigma dell’omicidio in un banale spauracchio per bambini.
Emarginata da un mondo che forse non l’ha mai davvero accolta, la nostra assassina redenta s’avventura nell’oscura Chinatown della sua città natale, dimostrando una capacità di adattamento pressoché formidabile: altezzosamente docile di fronte alle angherie di chi ha la fedina penale immacolata, coraggiosamente risoluta nella nobile impresa di ristabilire i contatti con l’amata sorella, Ruth incarna un’etica universale disposta ad ergersi contro il solo imperdonabile aguzzino dell’intera pellicola, ovvero: il sistema giudiziario americano.
Mai, nemmeno per un nanosecondo, ci balza alla mente la perversa idea che questa povera anima in pena sia responsabile delle sue azioni. La nostra autostima rimane intatta, limpida e cristallina come la coscienza del trasgressore mondatosi dai propri peccati. Ma cosa sarebbe successo se, al posto dell’intrepida Sandra Bullock, fosse entrato in scena un criminale in carne ed ossa? Se avessimo sostituito il fato avverso con un banalissimo e squallidissimo movente? Forse la proverbiale umanità che tanto contraddistingue lo spettatore medio avrebbe cominciato a vacillare verso l’orrendo abisso dell’occhio per occhio, dente per dente. Vi siete mai chiesti per quale motivo, in alcuni Stati, il retto e probo cittadino comune ancora assista all’esecuzione dei condannati a morte? No? Beh, a quanto pare neanche Nora Fingscheidt si è posta tale quesito.
Tranquilli, l’autrice non vuole certo mettervi alla prova: e infatti, a rinvigorire le simpatie del pubblico nei confronti della carismatica martire-carnefice è una sottotrama poliziesca che vede i parenti della vittima intessere un’improbabile vendetta dalle sfumature civilmente e moralmente illecite. E questo è il primo, grande difetto del lungometraggio, che sfida ogni principio basilare di veridicità, balzando dall’indagine sociale al thriller con la medesima posata frivolezza di un fanciullo sulle montagne russe. Il secondo e, a nostro parere, irrimediabile errore commesso dalla regista è quello di ripulire di punto in bianco l’immagine già immacolata della virtuosa cop-killer – Attenzione: informiamo la nostra gentile clientela che da qui in avanti sono presenti spoiler.
Giunto al funesto epilogo, il dramma riavvolge le sue fila e l’originaria matassa si tramuta in un arazzo dai contorni finalmente riconoscibili: Ruth Slater non è un’assassina. E qui entriamo nella fantascienza: il colpo di scena finale è puro genio, o pura idiozia, che forse è la stessa cosa. Intravediamo dunque la protagonista barricarsi in casa di fronte all’ordine di sfratto. La ascoltiamo mentre minaccia di sparare a chiunque penetri nella sua proprietà. Non c’è nulla da fare, il ranch è circondato. Lo sceriffo entra dalla porta sul retro. Ma qualcuno lo sta aspettando – qualcuno che non è Ruth, ma che ha preso in parola il grido disperato della madre-sorella: Kathie, dall’alto dei suoi cinque anni, agguanta un fucile da caccia che perfino Clint Eastwood faticherebbe ad utilizzare. Dopodiché, quest’innocente e imberbe Nikita prende la mira e, con la precisione di un cecchino, uccide al primo colpo il capo delle forze dell’ordine. Il tutto in un seminterrato buio, con un’arma il cui rinculo rischierebbe di slogare la spalla ad un gorilla di due metri per quattro. Sconvolta, Ruth decide di prendersi la colpa e porta la ragazzina a mangiare una vagonata di pancakes alla fragola. Fine dell’indagine. Diciamo che nella vita reale le cose sarebbero andate diversamente. Che la linea fra integrità e colpevolezza è spesso invisibile agli occhi dell’integerrimo spettatore. Ma questa è un’altra storia.
Su Netflix dal 10 dicembre
Cast & Credits
The Unforgivable – Regia: Nora Fingscheidt; sceneggiatura: Peter Craig, Hillary Seitz, Courtenay Miles; fotografia: Guillermo Navarro; montaggio: Joe Walker, Stephan Bechinger; interpreti: Sandra Bullock (Ruth Slater), Vincent D’Onofrio (John Ingram), Viola Davis (Liz Ingram), Jon Bernthal (Blake), Richard Thomas (Michael Malcolm), Linda Emond (Rachel Malcolm), Aisling Franciosi (Katherine “Katie” Malcolm), Rob Morgan (Vincent Cross), Tom Guiry (Keith Whelan), W. Earl Brown (Mac Whelan), Emma Nelson (Emily Malcolm), Will Pullen (Steve Whelan), Jessica McLeod (Hannah Whelan); produzione: GK Films, Fortis Films, Construction Film, Red Production Company; origine: USA, Regno Unito, Germania 2021; durata: 114’.
