Being the Ricardos di Aaron Sorkin

  • 3
3

Ci permettiamo di rinviare alla nostra recensione de Il processo ai Chicago 7,  per chi voglia saperne di più su Aaron Sorkin, celebre sceneggiatore americano, passato ormai da qualche anno alla regia. A poco meno di un anno di distanza dal film summenzionato, Sorkin ne ha girato un altro basato ancora una volta su un proprio progetto; il film s’intitola in inglese Being The Ricardos e in italiano A proposito dei Ricardos. In realtà il progetto risaliva a un periodo  antecedente, addirittura al 2015, ma per varie ragioni si era arenato, non ultimo a causa del fatto che la star originariamente prevista, ossia Cate Blanchett, a un certo punto ha deciso di dare forfait. Negli USA il film ha fatto un brevissimo passaggio in sala, in Europa no, lo si può vedere da qualche giorno su Amazon Prime. In vista dei prossimi Golden Globes ha ricevuto tre nomination, due agli attori principali che sono Javier Bardem e Nicola Kidman (“sostituta” di Blanchett) e uno alla sceneggiatura allo stesso Sorkin.

Diciamo fin da adesso che non è la migliore sceneggiatura del sessantenne newyorkese, ma l’attore e l’attrice sono davvero eccellenti e non ci stupiremmo di vederli premiati. Come Il processo ai Chicago 7 anche Being The Ricardos è un period film, se il primo si svolgeva nel 1968 e poco oltre, questo si svolge negli anni ’50, segnatamente nel 1952, e negozia almeno tre discorsi politici e culturali dell’epoca: il maccartismo, il sistema produttivo della televisione americana fra divismo, moralismo, modelli maschili e femminili dominanti e devianti e, seppur in misura minore, il rapporto fra la cultura americana e quella latina, non foss’altro tramite il fatto che Bardem interpreta la figura di un attore, musicista, produttore di origine cubana.

Basato su fatti realmente accaduti, il film ha come protagonista l’attrice Lucille Ball (1911-1989), diva della televisione americana, soprattutto degli anni ’50, la star del celeberrimo I Love Lucy che in italiano si chiamava Lucy ed io. La vicenda si apre su un doppio scandalo che potrebbe pesantemente incidere sul futuro professionale di una star, mai comunque veramente decollata al cinema e rimasta nei ranghi di una produzione televisiva e di genere: all’inizio di una imprecisata settimana del 1952 i giornali scandalistici riportano da un lato la notizia di una presunta affiliazione di Lucille al Partito Comunista e dall’altro una relazione extraconiugale del marito, co-produttore e coprotagonista dello show Desi Arnaz (la casa di produzione si chiama non a casa Desilu, crasi dei nomi dei due coniugi attori).

Su questo doppio scandalo si innesta una narrazione che, scandita dai capitoli dei singoli giorni della settimana a loro volta dotati di sottotitoli, intenderebbe conferire stringatezza e ritmo a un plot a cui proprio questo finisce inesorabilmente per mancare, anche perché Sorkin decide di complicare (inutilmente) la vicenda inserendo a più riprese una cornice in cui tre personaggi, ormai invecchiati, che nella produzione di Lucy and I svolgevano importanti funzioni (attori, sceneggiatori, produttori), i quali tuttavia non aggiungono davvero nulla allo svolgimento dell’intreccio, la cui fine non riveleremo, anche se per molte ragioni in nessun momento lo spettatore è indotto a fremere per i destini dei personaggi ovvero a farsi avvincere dalla vicenda.

Sorkin è troppo intelligente per non rendersi conto della scarsissima valenza thriller del film che ci racconta e gioca evidentemente con il tradimento di quell’orizzonte d’attesa che è in realtà lui stesso in qualche modo a voler produrre, talché il film finisce piuttosto proprio per assomigliare, fatte le dovute differenze, a quel tipo di televisione che è al centro del plot, divenendo una sorta di sit-com comico-dinamica, di estrazione piccolo-borghese. Il carattere parodistico tuttavia ben presto comincia a risultare stucchevole e a nulla valgono tutte le ulteriori strategie stranianti messe in atto da Sorkin e dalla sua troupe per rendere più colto e più postmoderno il film che stiamo vedendo, fra le quali spicca l’utilizzo di quello che si potrebbe definire il bianco/nero mentale, laddove i vari personaggi, sceneggiatori, regista, ma soprattutto la protagonista stessa, che si contendono l’egemonia nelle singole puntate dello show, immaginano l’aspetto che potrebbe avere una scena, una volta girata secondo i loro intendimenti. Per il resto: tanto déja-vu riconducibile alla categoria film su Hollywood, l’analisi e la critica delle logiche produttive sono esattamente le stesse: rivalità fra le varie istanze coinvolte e rispetto/rifiuto dei tabù, imposti da un sistema produttivo, distributivo e dagli sponsor che non poneva certo in prima linea l’ambizione di educare il telespettatore medio, bensì di ribadirne passivamente le certezze. La regia di Sorkin, anche questo già lo si notava a proposito del Processo ai Chicago 7, tende a baroccheggiare un po’.

Come si diceva: i due protagonisti sono eccellenti e lo è anche J. K. Simmons nel ruolo di un attore comprimario alcolizzato. Kidman tende forse qua e là a scimmiottare Lucille Ball, a copiarla, ma non arriva mai a una mera imitazione, Javier Bardem è un meraviglioso gigione, ed è un piacere guardarlo.

Dal 21 dicembre su Amazon Prime Video

 


Cast & Credits

Being The Ricardos; regia, sceneggiatura: Aaron Sorkin; fotografia: Jeff Cronenweth; montaggio: Alan Baumgarten; interpreti: Nicole Kidman (Lucille Ball), Javier Bardem (Desi Arnaz), J. K. Simmons (William Frawley), Nina Arianda (Vivian Vance); produzione: Amazon Studios, Escape Artists; origine: USA 2021; durata: 131′; distribuzione: Amazon Studios.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *