-
Voto
Per scrivere a proposito di Nelly & Nadine, documentario di Magnus Gertten selezionato nella sezione Panorama, è necessario tornare al 2011 e al 2015, gli anni nei quali il regista svedese firmò Harbour of Hope ed Every Face Has a Name. E, continuando a risalire il tempo passato, al 1945, quando alla fine della guerra, in Svezia, fu realizzato un filmato che testimoniava l’arrivo al porto di Malmö di migliaia di persone appena liberate dai campi di concentramento nazisti.
Nello scorrere di quelle immagini d’epoca, appaiono volti privi di un’identità e, dunque, di una storia. O meglio, senza una storia per noi che osservando ciò che la macchina da presa cattura in modo neutro, ci limitiamo a un superficiale, seppur doloroso, sguardo d’insieme. Davanti ai nostri occhi transitano in modo indistinto le vittime, dietro le quali si cela un orrore indicibile ma anche la speranza che domani sia possibile curare le ferite del corpo e della mente. Uscite dall’universo concentrazionario, dal laboratorio della dis-umanizzazione dove il futuro si è fuso al passato in un eterno presente, quelle persone sono in procinto di accedere nuovamente al mondo, aprendosi all’imprevedibilità della vita.

Chi sono realmente quei sopravvissuti che nell’immaginario si presentano come una massa? Quale incrocio stanno per attraversare? Che direzione sceglieranno di prendere? Gertten dopo aver osservato quel filmato d’archivio si propone di identificare alcuni di quei volti. Intercetta delle esistenze, ricostruisce delle traiettorie. A un plurale che si riduce a uno, preferisce il singolare che si moltiplica nei possibili tanti. E da regista riconfigura quelle storie nella forma dei due film appena citati che, a loro volta, mostrati nelle sale si riaprono all’imprevedibile, alla visione degli spettatori. Così capita che una donna, Sylvie Bianchi, durante una proiezione di Every Face Has a Name, noti la presenza di un corpo familiare. E suggerisce un nome al regista, quello di Nadine Hwang, quarantatré anni di cui uno passato nel campo di concentramento di Ravensbrück, per aver aiutato gli anti-nazisti a scappare in Spagna attraverso i Pirenei.
A Malmö, in mezzo a tante altre donne, sbarca anche Nadine che sembra pensare a un altrove. Come se avesse già in mente un obiettivo, come se la libertà di cui si è appena riappropriata non fosse già tutto. Quel pensiero nascosto alla nostra vista è Nelly Mousset-Vos (la nonna di Sylvie), cantante lirica trentanovenne, arrestata il 22 aprile 1943 a Parigi e deportata anche lei a Ravensbrück per poi essere trasferita a Mauthausen, la “porta dell’inferno”.
Da un volto enigmatico colto di sfuggita in un’immagine del 1945, rielaborata poi nel 2015, ha dunque inizio Nelly & Nadine, la frammentaria ricostruzione di una storia d’amore tra due donne iniziata nel campo di concentramento di Ravensbrück e proseguita in Venezuela, a Caracas, la città che le due amanti scelsero dopo essersi ritrovate nel dopoguerra. Una relazione (di cui tutti sono a conoscenza ma che nessuno contribuisce a rendere ufficiale) narrata attraverso i ricordi di Sylvie, le testimonianze di qualche parente e amico, i filmini amatoriali e, soprattutto, il diario di Nelly, un manoscritto che la nipote, prima di incontrare Gertten, custodiva senza toccarlo.
La tensione, anche se espressa con toni bassi, si percepisce subito, sia nella nipote che legge, sia nella nonna che scrive. Da un lato la ritrosia, la volontà ferma di non sottoporsi al dolore della memoria. Dall’altro l’obbligo alla testimonianza, alla condivisione di un vissuto. E poi la storia d’amore, che negli anni Cinquanta e in quelli a seguire (Nadine morirà nel 1972) viene tollerata solo perché non si pretende un riconoscimento pubblico. Il diario di Nelly condiviso con Nadine potrebbe diventare un libro, ma i possibili editori si rifiutano di pubblicarlo.
Il film è un continuo alternarsi di prospettive, di differenti narrazioni. Dallo sguardo indecifrabile del regista del filmato d’archivio del 1945, si passa a quello di Gertten che a sua volta insegue Sylvie con le sue perplessità e, al tempo stesso, con la sua determinazione a indagare, a tracciare un percorso nel quale ritrovare sua nonna e Nadine. E infine il punto di vista di Nelly, quello più commovente (persino lieve nei filmini amatoriali di Caracas) che aiuta a comprendere il susseguirsi dei fatti (quelli che appartengono alla sua storia e a quella collettiva) e che, contemporaneamente, sfugge a ogni definizione perché ciò di cui è stata testimone non può essere interamente messo a verbale. Così come sfugge a ogni razionalizzazione la forza di due amanti che hanno vissuto la loro relazione in un mondo che le ha prima rinchiuse in un campo di concentramento e poi le ha in parte emarginate per la loro ostinata volontà di essere se stesse.
Cast & Credits
Nelly & Nadine – Regia: Magnus Gertten; sceneggiatura: Magnus Gertten, Jesper Osmund; fotografia: Caroline Troedsson; montaggio: Jesper Osmund, Phil Jandaly; musica: Marthe Belsvik Stavrum; produttore: Ove Rishøj Jensen; produzione: Auto Images; origine: Svezia, Belgio, Norvegia, 2022; durata: 92’.
