C’era una volta il Napoli dei sudamericani o meglio, per non commettere il reato di lesa maestà, il Napoli di Diego Armando Maradona (anche se Antonio Careca era proprio forte!). C’era una volta l’Inter dei tedeschi, quello di una stagione record con Giovanni Trapattoni in fuga solitaria. C’era una volta il Milan degli olandesi, una delle squadre più grandi della storia del calcio, pensato da Arrigo Sacchi e costruito con i soldi di Silvio Berlusconi, tassello fondamentale per comprendere la fine di un calcio e l’inizio di un altro, impreparato a lungo termine a recepire le nuove regole del professionismo internazionale, economicamente a pezzi nonostante l’avvento delle televisioni e poi delle piattaforme online, consegnato allo spregiudicato di turno e di seguito a fantomatiche società straniere.
Era la metà degli anni Ottanta, il dualismo tra Juventus e Roma, tra Michel Platini e Paulo Roberto Falcão volgeva al termine. Un colpo di coda nella stagione 1985-86 con la famosa disfatta della Roma allo stadio Olimpico con il già retrocesso Lecce e poi le chiavi del campionato cambiarono proprietario: il Napoli (1986-87, 1989-90), l’Inter (1988-89) e il Milan (1987-88). A segnare la fine di questo triunvirato fu la Sampdoria di Roberto Mancini e Gianluca Vialli che idealmente concluse un periodo iniziato con il Verona allenato da Osvaldo Bagnoli. Dopo lo scudetto dei genovesi (ultimi “provinciali” a cucirsi il tricolore sulle magliette), si imposero i cicli, quello milanista, quello juventino, quello interista e di nuovo quello bianconero dopo la retrocessione in serie B per i reati commessi nella vicenda conosciuta come Calciopoli.
A distanza di trentasei anni, Milan, Napoli e Inter, rispettando la classifica attuale, sono tornate insieme a battersi per il titolo. Una competizione al ribasso si dice da più parti. Eppure, alla fine, una delle più divertenti di questo scorcio di millennio. Certamente più appassionante dei campionati che si svolgono in Francia, Germania e Spagna, al passo con quello inglese che, peraltro, è un gioco a due, mentre in Italia oltre alle tre squadre citate potrebbe reinserirsi sorprendentemente la Juventus, anche se le occasioni per farlo forse le ha perse definitivamente con i pareggi contro Atalanta e Torino.
Non si può negare che il livello tenda verso il basso. Se pensiamo a come abbiamo introdotto le tre squadre degli anni Ottanta con i campioni (e gli allenatori di ben altra personalità) che ne simboleggiavano la forza, oggi a parte Victor Osimhen e Rafael Leão, che comunque devono ancora esibire le loro reali potenzialità, quali altri giocatori riescono a entusiasmare le cosiddette folle e a identificarsi totalmente con la maglia che indossano? Già, perché siamo lontani dall’affermare con certezza che gli appena menzionati Osimhen e Leão o anche Dusan Vlahovic, siano destinati a essere dei condottieri e non delle semplici pedine di scambio per successive lucrose operazioni finanziarie.
Erano evidentemente altri tempi. Bisognava comprare nuove e più capienti bacheche per contenere le coppe internazionali, e tutto il mondo osservava con invidia il campionato di Maradona e Ruud Gullit, di Careca e Marco van Basten, di Lothar Matthäus e Frank Rijkaard, solo per citarne alcuni in modo approssimativo. Nel 2022 è più che sufficiente un comodino, dove appoggiare possibilmente anche il modem nella speranza di sconfiggere il buffering. Altro che Real Madrid o Manchester City, quello è il vero avversario da sconfiggere.
Possiamo provare nostalgia per quel calcio? Forse. Ma non troppa. Da quel momento, Juventus, Inter, Milan, Napoli, Roma, Lazio, Fiorentina, Parma, Sampdoria, Verona, Torino, cioè tutte le società che hanno colto almeno un terzo posto dal 1980 (con l’eccezione di Udinese e Atalanta) hanno successivamente pagato il conto con squalifiche, fallimenti, retrocessioni e salvataggi rocamboleschi. Si dirà che anche adesso la Serie A è sull’orlo del baratro. Può darsi, anzi sicuramente. Intanto però godiamoci queste settimane nelle quali non sembra possibile fare pronostici. Rianimiamoci con rigori non dati, cartellini ad personam, squadre che si presentano in campo con l’infradito…e possibilmente, se proprio si distraggono, con qualche bella giocata.
Pare che al Parco dei Principi, i tifosi del Paris Saint-Germain abbiano fischiato Lionel Messi e Neymar, risparmiando Kylian Mbappé che, comunque, a fine stagione prenderà la strada di Madrid (l’originalità, questa sconosciuta). Tutto sommato, meglio tenersi stretti i vari Dries Mertens, Olivier Giroud e Lautaro Martínez. Buon divertimento.