Gli addetti ai lavori lo sapevano che Franz Beckenbauer non stava bene (problemi cardiaci, problemi agli occhi, Parkinson e anche un principio di demenza senile), la morte sopraggiunta all’età di 78 anni inoltrati l’8 gennaio 2024 non è dunque stata sorprendente. Nell’arco del 2023 il Bayrischer Rundfunk, la Televisione Regionale Bavarese, che fa capo al primo canale nazionale, la ARD aveva prodotto un documentario a firma di Christoph Nahr e di Philipp Grüll. Non ho idea in quale data fosse stata calendarizzata la trasmissione del documentario, fatto sta che il testo era evidentemente pronto, se è vero che il palinsesto della ARD ieri sera è stato rivoluzionato e il film è stato mostrato in anteprima e in prima serata, accompagnato da tutta una serie di trasmissioni giornalistiche in ricordo di Kaiser Franz. E il film, che reca il semplice titolo Beckenbauer, era, già ieri, disponibile nella mediateca della rete tedesca.
È un documentario di ottimo livello che permette a chi non sa di percorrere (e di ripercorrere a chi ha dimenticato) le tappe principali di uno dei, forse, cinque-sei calciatori che hanno fatto nella seconda metà del ‘900 la storia di questo sport (insieme a Diego Armando Maradona, Pelè, Johann Cruyff, Paolo Rossi senz’altro, sugli altri si dovrebbe di volta in volta discutere). La grandezza e l’esemplarità di Beckenbauer è legata ad almeno quattro fattori:
1) è stato uno straordinario calciatore, forse il miglior calciatore tedesco di sempre, autentico inventore di un ruolo, quello del libero, giocatore elegante, dalla postura costantemente eretta, uno di di quei calciatori, ai quali, come per magia, la palla resta sempre attaccata senza neanche bisogno di guardarla (di calciatori così eleganti in Italia mi vengono in mente i soli Giancarlo Antognoni e Andrea Pirlo, fuori dall’Italia pochissimi). Gli italiani un po’ più anzianotti ricorderanno Beckenbauer nel celeberrimo Italia-Germania 4-3, quando con la spalla lussata decise di restare in campo, i tedeschi avevano finito le sostituzioni, anche in quelle condizioni la sua postura rimase esemplare;
2) è stato uno straordinario uomo-squadra, pur avendo giocato anche in altre squadre (il Cosmos di New York, insieme a Pelè e al nostro Giorgio Chinaglia, e l’Amburgo, quando decide di ritornare in Germania Federale), Beckenbauer è tutt’uno con il Bayern di Monaco e con l’esplosione di una squadra che ancora all’inizio degli anni ’60 era una squadra minore e con certezza la seconda squadra più importante della capitale bavarese (dietro il Monaco 1860) ma che nell’arco degli anni ’60 anche e soprattutto grazie a Beckenbauer diventerà la squadra Nr. 1 del campionato tedesco occidentale e una delle compagini più importanti del calcio Europeo – basti dire che dopo un primo titolo nazionale nel 1932, il Bayern vincerà il secondo soltanto nel 1969 e a oggi ne ha vinti 33, cui vanno aggiunte 20 coppe nazionali e 6 Champions League, per citare solo i titoli più importanti;
3) Franz Beckenbauer riassume in modo esemplare la biografia di un tedesco occidentale: nasce, a Monaco appunto, nel 1945, nello stesso anno di un altro celeberrimo bavarese, ovvero Rainer Werner Fassbinder, che del Bayern, di quel Bayern era un grande tifoso, cresce negli anni delle macerie dapprima e poi del miracolo economico, diventa in parallelo al suo successo personale e del Bayern una figura di riferimento per il borghese tedesco, al punto da essere utilizzato, nella sua elegante medietas come testimonial per la pubblicità televisiva, dopobarba e dadi da brodo, prestandosi anche a fare il cantante e, più in generale, a diventare una figura pop di riferimento – un accurato studio del look (vestiario, capelli, colori) permette di seguire al meglio la trasformazione subita dal Kaiser nel corso dei decenni. Il documentario permette altresì di ripercorrere la sua biografia sentimentale che in parte almeno è venuta a cozzare con l’idea di medietas, rendendolo anzi figura controversa agli occhi dei benpensanti tedeschi, al punto che l’idea di lasciare il Bayern e la Germania per i Cosmos di New York nel 1977, all’età di 32 anni, non è tanto dovuta, come sarebbe, se accadesse oggi, a ragioni di natura economica (gli americani che pagano di più dei tedeschi) ma in primo luogo a ragioni di opportunità mediatica, la voglia di Beckenbauer di farsi per un po’ di tempo i cavoli propri e non essere riconosciuto e giudicato a ogni pie’ sospinto dai suoi connazionali;
4) la biografia di Beckenbauer presenta tratti di esemplarità tale da renderlo oggetto di identificazione per ogni essere umano: un’ascesa inarrestabile almeno fino al 2006 (Beckenbauer ha 61 anni), quando, dopo aver vinto tutto quanto è possibile vincere da calciatore e anche da allenatore, anzi da Teamchef (il Kaiser non si era piegato a frequentare una scuola calcio in modo da ottenere il patentino), raggiungendo il traguardo riuscito solo al brasiliano Zagallo e al francese Dechamps ossia di vincere i mondiali sia da giocatore che da allenatore, riesce nell’impresa politico-diplomatico di far disputare i mondiali del 2006 nel proprio paese. Ma dopo di allora, dopo il 2006, ha inizio una tremenda parabola discendente che oltre al peggioramento delle condizioni di salute, comprende la precoce scomparsa per un tumore al cervello del figlio Stefan, l’unico che aveva seguito le orme del padre, oltre a una serie di scandali politico-economico-giudiziari e tributari di cui Franz è stato vittima – e non si è capito fino in fondo quanto Beckenbauer sia stato messo in mezzo, sia stato un furbacchione, sia stato l’una e l’altra cosa. La stessa conquista dei Mondiali del 2006 si è rivelata in retrospect una vicenda sordida che getta una luce ambigua su una figura fino ad allora solare ed esemplare.
Non c’era certo bisogno del documentario di Nahr e di Grüll per renderci conto dell’importanza di Beckenbauer. Certo è che il documentario fa capire (e ricordare) allo spettatore medio il ruolo svolto dal libero del Bayern – basti dire che i due registi sono riusciti a convocare oltre a due sue compagne, al fratello e ad alcuni celeberrimi compagni di squadra (Paul Breitner, Sepp Maier), di Nazionale (Günter Netzer), suoi calciatori degli anni da Teamchef (Lothar Matthäus), ben tre ministri della Repubblica: Otto Schily, Joschka Fischer e Wolfgang Schäuble, anch’egli scomparso da pochissimo, a dimostrazione – se ce n’era bisogno – del fatto che Beckenbauer è una di quelle (poche) figure che esulano dalla loro notorietà settoriale per diventare figure di riferimento, di rilievo nazionale e, come già si diceva, pop.
Beckenbauer– Regia e sceneggiatura: Philipp Grüll, Christoph Nahr; fotografia: Nikola Krivokuca, Ralph Zipperlen; musica: Marco Hertenstein; produzione: BR; origine: Germania 2024.