È una bella giornata, a Berlino. Ottima per una gita fuori porta, per incontrare un amico o un parente, per mettersi in macchina e lasciarsi scivolare sull’Autobahn alla ricerca di aria fresca. In serata sono previsti piovaschi, quindi portate con voi un ombrello, un impermeabile o un cappello.
Forse è questo ciò che frulla della testa di Clara, 39 anni, dottoranda e filosofa wannabe in una delle prestigiose università che risiedono nella tanto agognata Hauptstadt. Annika Pinske, qui al suo debutto dietro la macchina da presa, ce la descrive così: assente, taciturna, aggressiva, in perenne stato di prova presso sé stessa e presso il mondo che la circonda. Ha una relazione con uno studente che pare saperne sempre più di lei. I colleghi la fanno sentire in soggezione, i suoi superiori sono talmente chiusi nel loro infantile narcisismo da risvegliare nell’eterna allieva un sentimento simile alla tenerezza. La sua famiglia risiede in weiter Ferne, so nah, ovvero nel lontano-vicino Mecklenburg-Vorpommern, la regione di Rostock e dei grandi laghi del Nord – che qui, del resto, non si vedono mai. La topografia di questa Heimat (non patria, ma casa) dimenticata è costituita al novanta percento da donne: nello specifico, da una madre distratta, da una nonna beffarda e vagamente marziale, da una figlia adolescente inaccessibile come uno di quei saggi accademici su cui Clara riversa le proprie frustrazioni.
Alle reden übers Wetter (Tutti parlano del tempo), presentato alla Berlinale dell’anno scorso nella sezione Panorama e ora sbarcato al Festival del Cinema Tedesco di Roma, è una parabola sulla “vibrazione di fondo” che assedia e definisce le nostre vite – il “rumore bianco” che Noah Baumbach ha di recente portato su grande schermo. Scorrendo il profilo della giovane regista, possiamo assaporare un leggero retrogusto autobiografico: Annika Pinske ha studiato fra la Humboldt e Potsdam, ha lavorato con il drammaturgo René Pollesch presso la Volksbühne am Rosa-Luxemburg-Platz di Berlin Mitte, è stata l’assistente personale di Maren Ade nello storico Vi presento Toni Erdmann. Il suo cortometraggio Spielt keine Rolle fu selezionato fra i papabili vincitori del Max Ophüls Preis e del Deutscher Kurzfilmpreis. Un curriculum invidiabile, non c’è che dire.
Che Clara (qui interpretata da Anne Schäfer) sia un Doppelgänger di Annika, non ne siamo sicuri: ciò di cui siamo sicuri è che la pellicola, un po’ come un’interminabile small talk sul tempo atmosferico, si perde in una serie di episodi e aneddoti destinati a rimanere in superficie. La trama non è una trama, ma un viaggio circolare all’interno di sé stessi, così come sempre capita nei film della cosiddetta “Berliner Schule”: vediamo Clara in una camera d’albergo insieme al suo studente-amante, Clara in cattedra di fronte ad un pubblico indifferente, Clara in imbarazzo con l’Ordinario di turno che le chiede se i suoi genitori “siano del mestiere” – come se non esistessero altri mestieri al di fuori dell’ambitissima carriera accademica. Le feste universitarie sono un’inenarrabile rottura di scatole (tanto per usare un eufemismo): “oggi è una bella giornata, forse in serata piove, comunque sto analizzando la teoria della libertà di Hegel, più precisamente il concetto di intersoggettività nella sua concezione di Famiglia Borghese”. Da spararsi.
Per sublimare, Clara fa suicidare il padre – o almeno, così racconta ai colleghi per stupirli, o per mandarli sommessamente là dove dovrebbero essere mandati. Una balla colossale, come del resto l’intera messinscena su Hegel, Roy Lichtenstein e l’estetica delle tartine al salmone. L’attrice Sandra Hüller (per gli amici Ines, la figlia in Toni Erdmann) fa una capatina in Aula Magna in qualità di ex dottoranda repressa e ancora traumatizzata dalle angherie della Madre Superiora (per gli amici, la docente di filosofia Judith Hofmann). In pratica: lasciate ogni speranza, voi ch’entrate.
Il film avrebbe tutto il potenziale per uscire dal bozzolo e trasformarsi in una vera satira. Ma non lo fa, e rimane nel suo nido, forse per paura di spiccare il volo. Anche Clara ritorna nella propria tana, in provincia dalla madre, assieme ad una figlia sedicenne da anni affidata all’ex compagno per rincorrere la sua El Dorado pseudo-hegeliana. Il che andrebbe benissimo… se a Clara andasse bene. Abbiamo l’impressione di no.
Il compleanno della genitrice, tutto Biergarten e musica da balera all’ombra delle tamerici, si oppone marcatamente al convegno intellettual-chic dei professori: da una parte, la fenomenologia delle idee banali, dall’altra l’insostenibile leggerezza dell’essere villici. Insomma, il “già visto e già sentito” impera tanto sull’anonima e triste Berlino dei giorni nostri quanto sulla ridente Pomerania in cui si respira aria “di vita vera” – sempre che quest’espressione voglia dire ancora qualcosa. Comunque, in serata sono previsti piovaschi, meglio munirsi di ombrello.
Come Clara, forse anche Annika vorrebbe raccontarsi, imprimendo su negativo ciò che pensa sul serio di questo mondo, di questo nostro girarci intorno, di questo eterno andare e venire senza mai trovare nulla. Entrambe le donne, regista e personaggio, sembrano tuttavia confuse sul da farsi: il dilemma non è più incentrato sul riuscire o non riuscire ad articolare un pensiero, ma sul riuscire o non riuscire ad avere un pensiero. Nel momento forse più intimo dell’intero film, Clara abbandona la casa materna per ubriacarsi al bar in compagnia dell’ex fiamma Marcel (il Max Riemelt da poco approdato in America per il recente Matrix Resurrection,2021, diretto da Lana Wachowski.). Fra i due sembra esserci del tenero, ma nessuno è disposto ad abbandonare il proprio giardino per il giardino dell’altro. In un istante d’improvvisa (e improbabile) epifania, però, Clara si apre: spiega che l’università, per lei, è un modo di comunicare, di “confezionare una riflessione, e presentarla all’interlocutore in modo che anche lui la capisca”. Un’utopia, questa, destinata al fallimento.
A risvegliarci dal torpore è l’epilogo, quando la protagonista va ad assistere al concerto della figlia che suona il trombone in banda. La canzone è Killing in the Name di Rage Against the Machine. Non occorre aggiungere altro. Clara sorride, e si gusta l’anatema “Fuck you, I won’t do what you tell me!” …un piccolo squarcio di libertà vera, prima di ritornare a Hegel.
Cast & Credits
Alle reden übers Wetter (Tutti parlano del tempo) – Regia: Annika Pinske; sceneggiatura: Annika Pinske; fotografia: Ben Bernhard; montaggio: Laura Lauzemis, Matthias Writze; interpreti: Anne Schäfer (Clara), Judith Hofmann (Margot), Marcel Kohler (Max), Anne-Kathrin Gummich (Inge), Max Riemelt (Marcel), Emma Frieda Brüggler (Emma), Sandra Hüller (Hanna), Ronald Zehrfeld (Roland), Alireza Bayram (Faraz), Christine Schorn (Charlotte); produzione: Grandfilm; origine: Germania 2022; durata: 89’.