Prima della proiezione in Piazza Grande, Ben Burtt ha ricevuto il premio alla carriera Vision Award Ticinomoda.
Sound Designer da 50 anni, per esempio in capolavori che tutti ricordiamo come Star Wars, Indiana Jones, E.T. e tanti altri, Ben Burtt è stato un grande pioniere e innovatore nel settore. Infatti, mentre tutti gli altri suoi colleghi si affidavano ai sintetizzatori, lui andava a registrare i suoni del mondo reale, e poi li elaborava in studio, ad esempio copiandoli, ripetendoli, registrandoli al contrario e via dicendo.
Da quando ho iniziato a fare film, mi sono reso conto che portandomi appresso un registratore, trovavo in giro molti suoni interessanti e anche utilizzabili, come i cavi che battono sulla torre radio, le urla dei maiali, la voce di una donna che fuma da oltre 50 anni che poi è stata usata per E.T., e via dicendo. Ancora oggi giro sempre con un registratore, che nel frattempo è diventato molto più piccolo e leggero di quello che usavo dell’epoca.
Ben Burtt, ha poi ricordato come nel lontano 1977 era stato reclutato dalla Lucasfilm per progettare il suono di Star Wars: di solito i i suoni si aggiungono quando si hanno già le immagini o le sequenze pronte, ma con George Lucas invece guardavamo insieme il girato e sceglievamo le immagini da sonorizzare che potevano funzionare. Così abbiamo lavorato nel primo Star Wars. Anche Spielberg era veramente aperto, e ti lasciava sperimentare i vari suoni, un’opportunità che oggigiorno accade molto raramente.
È poi seguito il documentario Gaucho Gaucho, girato a Salta (Argentina) in bianco e nero, e che parla appunto di un gruppo di gauchos , i mandriani delle papas argentine del Cono Sur, che vivono fuori e al di là del mondo moderno. Le varie storie narrate seguono le vite di uomini e donne di ogni età, background e origini diverse, tutte accomunate nella lotta per rimanere liberi.
I due registi, Michael Dweck e Gregory Kershaw, che già prima avevano lavorato in coppia, hanno raccontato di averci impiegato “solo” due anni a realizzarlo. I documentari precedenti, invece, li avevano girati rispettivamente in cinque anni (The Last Race, 2018) e tre (The Truffle Hunters, 2020).
Michael Dweck: nel modo in cui noi lavoriamo, vogliamo conoscere bene le famiglie di cui parliamo, torniamo giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, per conoscere i protagonisti dei nostri documentari. Piazziamo le telecamere e magari in ore di riprese non succede nulla, ed è per questo, che aspettiamo tanto prima di poter “fondere” insieme tutto nel nostro lavoro.
Gregory Kershaw: il mondo è bellissimo, l’essere umano magnifico, volevamo un film dove l’umanità esprimesse tutto il proprio potenziale. In Argentina per molto tempo c’era questa cultura, molto simile a quella dei cowboy americani ma con comunità differenti, e volevamo mostrare i gauchos realmente come sono. Esplorare la comunità di Salta, e trovare popolazioni che vivono questa vita meravigliosa lontano dalla tecnologia e dal resto del mondo.
È stato anche chiesto ai registi, se non è complicato lavorare in due alla regia e come si spartiscano il lavoro: Il modo in cui lavoriamo cambia ogni volta, parliamo molto insieme per capire come filmare e da che prospettiva. Molte discussioni vertono su dove piazzare la camera per rendere le riprese il più naturale possibile. Filmiamo qualsiasi cosa ci sia di fronte alla telecamera. Insomma, non facciamo niente per coordinare il lavoro, ma la nostra collaborazione funziona bene.
Già presentato in prima mondiale al Sundance Film Festival, Gaucho Gaucho è un documentario vivido e poetico che ci spiega molto bene la vita di questa comunità e di quella realtà rurale molto diversa dalla nostra. Come nel precedente The Truffle Hunters, gli autori hanno scelto di presentare le relazioni tra gli uomini e la terra, in una popolazione lontana dalle tecnologie e più vicina agli animali, alla natura e, a volte, anche alla famiglia. Ci dà dei riferimenti molto specifici, e è difficile capire se le conversazioni siano davvero realtà o finzione, perché i registi si sono integrati benissimo in questa collettività, ritraendone la libertà e la loro quotidianità. Il loro è un ductus narrativo documentaristico ma ci fa pensare anche ai western, grazie alle sonorità, sia quelle che restituiscono il mondo della natura, sia le canzoni abbinate alle immagini, che ci fanno sembrare ogni scena come fosse un quadro.
In questo film, vediamo come i gauchos si devono comunque confrontare con il cambiamento e stiano sparendo, anche se esistono da tantissimo tempo con una passione e una tradizione che si è tramandata di generazione in generazione. L’amore dei registi per quanto ci mostrano, è palpabile e contagioso, Gaucho Gaucho riesce davvero a portare in scena e a trasmettere allo spettatore i valori delle relazioni umane e della comunità, dando loro davvero una voce.
Foto della serata di Sara Saguar.