Gehen und bleiben di Volker Koepp (Festival di Berlino – Forum)

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Uwe Johnson (1934-1984, la foto sopra è la sua),  a parere di chi scrive, è il più grande scrittore di lingua tedesca del secondo dopoguerra. Originario della Pomerania (adesso Polonia), Johnson si sposta con la madre, nel quadro delle grandi migrazioni di popoli successive alla fine della seconda guerra mondial,e in Meclenburgo in un territorio che sarebbe venuto a far parte della Repubblica Democratica Tedesca. Studia germanistica e anglistica prima a Rostock, dove salta subito agli occhi per il suo acume e il suo talento ma anche per una certa irriducibilità, schierandosi contro il tentativo di mettere a tacere i movimenti giovanili  di ispirazione religiosa avversi al regime.

Poi si trasferisce a Lipsia dove entra in contatto con quanto di più avanzato la DDR di quegli anni avesse da vantare, grazie al magistero di un grandissimo intellettuale che rispondeva al nome di Hans Mayer. Quando comincia a dedicarsi alla scrittura, si scontra immediatamente con le rigidità sia contenutistiche che formali del regime. Parla, è il primo in assoluto a farlo, della Germania divisa in quello che resta forse il suo romanzo più famoso ossia Mutmaßungen über Jakob (Congetture su Jakob) del 1959, che in Italia verrà subito tradotto per Feltrinelli da Enrico Filippini e ne parla utilizzando una tecnica e un linguaggio, mutuato dagli esiti più avanzati del modernismo soprattutto di marca anglosassone (William Faulkner avanti a tutti), che non stanno bene a mano ai vertici politico-culturali che predicavano il realismo, anzi il realismo socialista, quanto di più lontano dalla poetica di Johnson, che nel 1959 emigra, anzi come dice lui, trasloca a Berlino Ovest, cominciando da qui in avanti a pubblicare nella Germania Federale, presso Suhrkamp, l’equivalente tedesco-occidentale di Einaudi e diventando, pur nella sua scomodità, uno degli autori più canonici della letteratura tedesca.

Sul finire degli anni ’60 Johnson trascorrerà un anno intero a New York, ciò che darà vita a quel che resta forse il libro tedesco più importante del dopoguerra, la tetralogia Jahrestage (I giorni e gli anni), uscito non molti anni fa, nel 2014, anche in italiano presso L’Orma di Roma in versione finalmente integrale. Abbattuto da varie vicissitudini politiche e soprattutto personali, depresso e alcolizzato, Uwe Johnson finirà i propri giorni a Sheerness-on-Sea, alla foce del Tamigi, il cadavere verrà ritrovato diversi giorni dopo la morte, un suicidio o un lento lasciarsi andare, fra un anno saranno quarant’anni e Johnson di anni non ne aveva compiuti neanche cinquanta. Chissà quanti altri capolavori ci avrebbe lasciato.

Pur avendoci vissuto alcuni anni soltanto, il Meclemburgo è la sua terra, in tedesco si direbbe Heimat, il territorio a cui per tutta la vita, anche a distanza di migliaia di chilometri Johnson si è sentito più legato e che in moltissime opere, a tratti strazianti, ha evocato in modo impareggiabile.

Da sempre interessato ai paesaggi della ex-DDR cui ha dedicato numerosi documentari, il regista Volker Koepp (1944, foto qui accanto), certamente uno dei documentaristi tedeschi più celebri ha deciso di dedicare a Johnson un lunghissimo film (179 minuti!), incentrato in particolar modo sul rapporto dello scrittore con quel paesaggio, dal quale peraltro lo stesso Koepp proviene.

Inserito nella sezione Forum, Gehen und bleiben (Partire e restare)  appunto intende documentare il legame di Johnson con il paesaggio, a un tempo aspro e pittoresco, del Meclemburgo e con la sua Storia, a partire dalla attualità (gli anni ’50) vissuta dallo scrittore ma dedicando molto spazio alla memoria, soprattutto a quella allora recente: il Nazismo, i campi di concentramento di Ahrensbök e di Neuengamme, non molto distanti da dove Johnson ha vissuto, l’affondamento (per errore?) della nave Kap Arkona con a bordo molti prigionieri reduci da Neuengamme ad opera delle truppe alleate, a pochi giorni dalla resa incondizionata dell’esercito tedesco. La macchina da presa si sposta, seppur per brevi sequenze, anche a Lipsia, a Berlino, e sul finire a Sheerness-on-Sea, mentre di New York fornisce soltanto un brevissimo skyline.

Con l’eccezione della scrittrice di origine tedesco-orientale Judith Zander (nata nel 1980, che aveva dunque solo 4 anni quando Johnson morì, che dichiara fin da subito il proprio omaggio estetico e poetologico al collega più celebre), la grande maggioranza dei personaggi intervistati è costituita da amici e conoscenti di Johnson, quindi da persone di una età medio-alta che celebrano in modo acritico ed entusiasta la grandezza del personaggio (senza tuttavia meglio spiegare in che cosa consista), onorati di averlo conosciuto o anche solo di aver abitato gli stessi luoghi da cui Johnson proveniva. Le persone più intime sono in grado anche di mostrare piccoli memorabilia di cui vanno fierissime. Fra gli intervistati, più o meno coetanei di Johnson, spicca il grande regista Hans-Jürgen Syberberg (1935), che al festival – come si legge anche in Wikipedia tedesca e sulla stampa – aveva offerto una prima versione di un lungo film intitolato Demminer Gesänge (I canti di Demmin), incentrato anch’esso su episodi drammatici della zona del Meclemburgo, sul finire della seconda guerra mondiale che è stato però rifiutato.

In un documentario con tante, troppe talking heads, il regista, che ricorre a pochissimi documenti originari, si mette direttamente in scena, poche volte in video, per lo più in audio, ponendo domande non esattamente significative; non si sente, bisogna pur dirlo, la presenza di una solida sceneggiatura e molto pare improvvisato. Quel che più di ogni altra cosa colpisce è il carattere molto molto tradizionale di un film che finisce per costituire l’esatto contrario della complessità strutturale e tematica dell’autore di cui tratta. Le parti più belle sono quelle affidate a Peter Kurth, eccellente attore cinematografico e televisivo tedesco, che ogni tanto recita fuori campo brani delle meravigliose opere di Johnson, fra cui la celeberrima dichiarazione d’amore al Meclenburgo: “Sono cresciuto sul Peene ad Anklam, il Nebel scorre attraverso Güstrow, Manhattan è racchiusa dall’Hudson e dall’Est e dal Nord, e da tre anni il Tamigi mi serve fuori dalla finestra dove diventa Mare del Nord. Ma il mio posto è il distretto lacustre del Meclemburgo, densamente boscoso, da Plau a Templin”. Nel complesso una delusione.


Gehen und Bleiben (Leaving and Staying) Doc.regia: Volker Koepp; interpreti: Judith Zander, Peter Kurth, Heinz Lehmbäcker, Hanna Lehmbäcker, Hans-Jürgen Syberberg; origine: Germania 2023; durata: 179 minuti.

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