Glory Hole di Romano Montesarchio

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Lascia impressioni contraddittorie il primo film di finzione di Romano Montesarchio (1973), segnalatosi nell’ultimo decennio abbondante per documentari ambientati nella zona dalla quale proviene, ovvero il casertano e le delinquenze di varia natura che in quella zona vengono perpetrate (ricordo, fra gli altri, almeno La Domitiana del 2008 e Ritratti abusivi del 2013). Il film in uscita in questi giorni s’intitola Glory Hole ed è l’ultimo prodotto da Gaetano Di Vaio, il coraggioso produttore napoletano, recentemente scomparso in un tragico incidente stradale. Anche Glory Hole racconta la criminalità ma lo fa da un punto di vista che non potrebbe essere più distante da quello del documentario, perché tutto calato in una dimensione immaginifica, onirica, espressionista, pur partendo, ancora una volta, dal desiderio ingestibile secondo moduli documentaristici, di raccontare una condizione che in moltissimi casi è consustanziale alla criminalità, ovvero la latitanza, quanto di più misterioso e indocumentabile esista (si vedano proprio in questi giorni le rinnovate ricerche sul conto dei vari covi di Matteo Messina Denaro).

Nella latitanza all’interno, appunto,  di covi, bunker, sotterranei, in luoghi dunque eminentemente claustrofobici, il soggetto è, salvo sporadici contatti col mondo esterno (qui un prete ambiguo e il titolare di un locale d’incontri), dunque totalmente abbandonato a sé stesso, a propri sogni, alle proprie allucinazioni e ai propri ricordi. Talché il buco di cui al titolo – oltre a fare riferimento a una pratica sessuale tipica di certi club privé, in base alla quale coloro che consumano il rapporto sessuale non si vedono ma compiono un rapporto per via genitale oppure orale appunto attraverso il foro in una parete – diventa con tutta evidenza il buco che si spalanca nell’interiorità del soggetto, confinato nel proprio carcere. Vengono in mente grandi esempi della letteratura mondiale, da Dostoevskij (Memorie del sottosuolo) a Kafka (La tana) e la follia che la solitudine può ingenerare. La dimensione simbolica è affiancata anche da una dimensione più letterale, ovvero dalla disposizione architettonica del bunker in questione, anch’esso pieno di buchi forieri di contatti, reali e immaginari, del soggetto, che è (o forse era) un bieco esecutore affiliato a un clan di camorra, specializzato in smaltimento di rifiuti di varia natura, un tema molto caro a Montesarchio. Adesso è costretto a stare nel bunker per sfuggire al boss, essendosi macchiato di un omicidio indicibile del quale mi limiterò a rivelare che a che fare con l’amore, anzi con l’Amore, un’entità quasi metafisica che il protagonista (Silvestro di nome, interpretato dall’ottimo Francesco Di Leva) non era con tutta evidenza in grado di affrontare.

Francesco Di Leva

La storia che lo ha condotto nel bunker la apprendiamo a poco a poco, appunto sotto forma di incubi, sogni e ricordi, ciò che rende il film un tipico prodotto, qua e là un po’ cervellotico, costruito in sala di montaggio, di chi è comunque da sempre abituato a lavorare al montaggio di materiali documentari, found footage o autoprodotti che siano. La modalità documentaria o per meglio dire pseudo-documentaria torna nella scena finale in un lungo Statement, sguardo in macchina, in cui Silvestro appella il lettore, raccontando la propria vita e la propria professione oltreché quel che gli è capitato e lo ha ridotto in questo stato (anche se molto di quel che racconta lo si era capito, fra una frammentazione e l’altra). E al termine di questa confessione che non può non turbare lo spettatore – il massimo straniamento che produce la massima empatia, a dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che sbaglia chi pensa che le tecniche teatrali sviluppate da Brecht non producano empatia, Strehler lo aveva capito benissimo – Silvestro trae le proprie conseguenze.

Glory Hole mostra, se vogliamo, i tipici difetti del (non giovanissimo) regista che esordisce in una tipologia di film in cui ancora non si era cimentato e vuol dimostrare di essere bravo, forse più bravo di chi pratica la finzione da una vita. Ciò detto, il plot, l’esecuzione e la recitazione rendono l’opera piuttosto meritevole.

In sala dal 18 luglio 2024


Glory Hole – Regia, sceneggiatura: Romano Montesarchio; fotografia: Matteo Vieille Rivara; montaggio: Davide Franco; interpreti: Francesco Di Leva, Mario Pirrello, Roberto De Francesco, Mariacarla Casillo, Gaetano di Vaio; produzione: Bronx Film, Minerva Pictures, Partenope Pictures Entertainment, Eskimo; origine: Italia 2024; durata: 95 minuti; distribuzione: Altre Storie, Minerva Pictures.

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