Ma davvero che atmosfera di freschezza, di libertà creativa espressa naturalmente, di voglia di fare, di intervenire, di offrire uno sguardo, che aria si respira grazie a queste immagini trovare e ritrovate, girate oggi da giovani registi che hanno partecipato al “Procida Film Atelier” (laboratorio di cinema promosso in occasione di “Procida Capitale Italiana della Cultura 2022”) diretto da Leonardo Di Costanzo e girate in passato dalle alcune famiglie dell’isola di Procida (per occasioni private) e messe a disposizione per il montaggio di Procida. Film collettivo si legge, il che significa a più mani (e quante a questo giro?!), che ci rimette subito in piedi rispetto soprattutto al fatto di essere occasione per ripensare positivamente il cinema e la sua forma in questa nostra attualità contemporanea. In particolare, a rifrequentare con profitto la sua forza immane che rende il film ancora una volta e sempre di più un “oggetto” (oramai bene identificato) credibile, perché capace di rinnovare nuovamente la nostra esperienza comune di spettatori rispetto a luoghi come a “storie di tutti i giorni”, rispetto a emozioni e a sentimenti che fanno parte del teatro della vita, rispetto a quanto il tempo cronologico, nella sua mera scansione di passato-presente-futuro, ha sì senso se è anche pensato come pochissima cosa.
Forse proprio da questo aspetto si potrebbe prendere spunto per annotare qualche suggerimento di lettura del film. Le immagini d’apertura sono, appunto, di repertorio e mostrano il mare dell’isola che bagna natanti e nuotanti. Ritratti d’epoca di un territorio, dunque, girati in modo amatoriale dalle famiglie con le prime cineprese negli anni ’60. A queste seguono quelle pensate e realizzate dai 12 giovani registi nella Procida di oggi, andando a scovare posti nascosti (grazie per esempio all’inventiva di alcuni bambini che invitato la macchina da presa a seguirli nel bel mezzo della flora isolana per poi giungere al mare) e a conoscere persone con una vita da raccontare. E il più delle volte le immagini di ieri si riconoscono in quelle di oggi (e viceversa), nel senso che sono animate/albergate dalle medesime figure che, se prima venivano riprese in giovinezza mentre facevano il bagno, oggi narrano alla loro tavola la vita, trascorsa tra un amore come quello cantato dai Camaleonti in Eternità e mesi di navigazione interminabili che li teneva lontano da casa. Solo il cinema può questo, solo le immagini in movimento permettono questa magia di un tempo che si fa davvero forza vitale, durata, Erlebnis (per dirla alla tedesca).
Tutto questo ci colpisce subito, e pensando che la regia è firmata da questi 12 ragazzi allora davvero l’entusiasmo monta negli occhi come nei cuori per un sentimento vero verso il cinema che sa ancora d’avanguardia. Come non rivedere durante l’esperienza visiva di Procida tutto il cinema di Vittorio De Seta che scorre lì sullo schermo, quasi impastato come nella migliore pittura informale. Sì, proprio quello di De Seta che torna in Calabria come in Sicilia e Sardegna negli anni ’90, rivisitando gli stessi luoghi dove il suo sguardo era già stato già prima, tra gli anni ’50 e ’60. E allora qui la magia si fa ancora più schietta. Bisognerebbe tornare davvero indietro ai Presocratici e ridomandarsi se è la stessa cosa eppure no. “Non si può discendere due volte nel medesimo fiume”, Eraclito afferma (fonte Platone). Eppure, in un certo senso forse è possibile, pare ci abbia fatto vedere il cinema. Qualcuno potrebbe avanzare a ciò l’obbiezione secondo cui è pur sempre apparenza quella di cui stiamo parlando. Sì, però un’apparenza che pare contare, fare anche la differenza e in qualche modo aprire itinerari di senso grazie a insolite (rispetto, per esempio, al sacrosanto concetto saldo del divenire delle cose) linee di continuità che solo emotivamente possono essere da noi accolte. Uno-molti: il cinema è ancora capace di mostrare quella soglia del tempo dove passato e futuro s’incontrano (a cui Nietzsche guardava, per intenderci) e l’immagine diviene il topos di questa epifania.
Procida ci parla anche di questo, e il bello sta nel fatto che a concretizzarlo sono ragazzi e ragazze di appena vent’anni. Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma: è verissimo, eppure esiste per noi l’identico che emerge e non fa problemi con πάντα ῥεῖ che muove il mondo. Tenuto conto di queste suggestioni, ne resta un’altra ancora possibile da mettere qui in comune. In fondo, questo film potrebbe avere un sottotitolo come ad esempio: lo stato delle cose. E non a caso ci viene in mente proprio questo titolo. Qui, lo stato delle cose è ovviamente quello del cinema. Nonostante le profonde novità, soprattutto di tipo tecnologico, che lo hanno attraversato negli ultimi e passa anni il cinema non è cambiato nella sua essenza. Ancora è alla ricerca di se stesso, ancora è giovane e deve apprendere sempre ex novo il suo compito di volta in volta. Deve ancora sperimentare, come disse il grande maestro russo Tarkovskij parlando di se stesso, dopo aver terminato L’infazia di Ivan nel 1962 (che, tra l’altro, si aggiudicò il Leone d’oro come miglior film al festival di Venezia, ex aequo con Cronaca familiare di Valerio Zurlini). Lo stato delle cose anche perché è il titolo della pellicola di finzione di Wenders in cui si cimenta al fine di realizzare allo stesso un film documentario. Due in uno, infatti e sempre: come Due esseri (1945) di Dreyer. Ma non solo due, pure di più. E qui il bianco della luce che è la somma di tutti i colori ci viene incontro. È la luce dell’isola di Procida che dai loro punti di vista, tutti insieme, questi ragazzi hanno scoperto e riscoperto facendo di un luogo e delle sue storie per un attimo il centro del mondo dove perdersi per poi ritrovarsi.
“Scoprire Procida geograficamente, le persone che vi abitano, le caratteristiche e tutto ciò che può essere definito storia e tradizione è stato molto intenso […]. Questo studio della realtà è stato un lavoro che è stato al di fuori di noi stessi, ma allo stesso tempo è stato anche un lavoro su noi stessi”: ecco, chi meglio di Di Costanzo, che ha seguito i lavori di questi ragazzi, poteva dirlo? Ah, tra l’altro una curiosità: Di Costanzo è nato a Ischia, l’isola accanto a quella di Procida. E di solito il traghetto (protagonista anch’esso del film) che da Napoli (o Pozzuoli) va a Ischia passa sempre prima per Procida. E allora? Ancora una volta uno-molti. Viva il cinema, viva questi ragazzi pronti per nuove avventure filmiche!
Procida – Regia, Fotografia e Suono: Cecilia Catani, Giorgia Ciraolo, Enrica Daniele, Valentina Esposito, Dario Fusco, Angela Giordano, Simone Grieco, Rebecca Gugliara, Ernesto Raimondi, Giorgia Ricciardiello, Nina Rossano, Lucia Senatore e Romilda Di Iorio; Atelier’s Artistic Director e Supervisor: Leonardo Di Costanzo; Tutor: Caterina Biasucci, Claudia Brignone, Lea Di Cursi; Montaggio: Lea Di Cursi, Claudia Brignone; Montaggio sonoro e Mix: Marco Saitta; Interpreti: abitanti dell’isola di Procida; Color granding: Simona Infante; Post-produzione audio e music licensing: Audioimage; Produttore: Antonella Di Nocera; Produzione: Parallelo 41 Produzioni, Regione Campania, Film Commission Regione Campania; Coproduzione: Procida Capitale Italiana della Cultura 2023, con la collaborazione del Comune di Procida (Na); Origine: Italia, 2023; Durata: 68 minuti.