Trenque Lauquen di Laura Citarella

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Sarebbe troppo lineare posizionare  le due parti in cui è diviso Trenque Lauquen (presentato lo scorso anno nella sezione Orizzonti della Mostra del cinema di Venezia e oggi in uscita un po’ frammentaria per la sale di alcune città italiane) su un piano di orizzontalità e di specularità: la regista argentina Laura Citarella non si limita a costruire un portale spazio temporale di identità che cambiano a seconda degli attraversamenti, nello specifico per quanto riguarda la sua protagonista Laura (non solo enigmatica ma che si fa lei stessa enigma) interpretata da Laura Paredes; nella parte I appassionata investigatrice su uno struggente ed erotico carteggio a distanza tra due amanti, scovato tra le intersezioni di una pagina e l’altra di libri che ricostruiscono l’identificazione  biblio e autobio grafica di una donna; nella parte II, straniata testimone del gigantesco fuori campo rappresentato da una misteriosa creatura animale, umana, aliena (?) rinvenuta nel lago di Trenque Lauquen, la cittadina in provincia di Buenos Aires che si impone progressivamente come rimodulabile (non) luogo di paesaggi/passaggi fantasmatici e tangibili, crocevia di istinti e di sublimazioni. Una dilatata  Heimat alla continua recherche (non si proviene e non si va da nessuna parte, siamo nel rio abierto del fluire e del divenire) che ridefinisce, senza soluzione e senza continuità, i confini della vita e della morte, della ragione e della follia, dell’ossessione e della lucidità.

La doppia versione di Laura non è però, come si diceva, l’unica possibile e neanche l’unico accesso che Citarella propone allo spettatore. Ci sono infatti molte versioni, prospettive, narrazioni che penetrano verticalmente il corpo centrale delle storie, in un movimento a cerchi concentrici (Trenque Lauquen vuol dire lago rotondo) che allarga oltre il limite di qualsiasi presunto finale, portando al largo gli ultimo residui di un racconto che non è più sufficiente a contenere ed esaurire le potenzialità e le complessità della realtà e dell’immaginario.

Laura racconta ma è anche raccontata, visto che il film si apre con la sua sparizione dentro il cui mistero si innestano altri misteri talvolta sovrapposti e scambiati, o forse, per non cadere nello schema di un dualismo ritenuto inizialmente limitante, sarebbe più corretto dire applicati a una lettura leggermente slittata di senso seppur in risonanza;  le missive d’amore della coppia fedifraga ritrovate da Laura diventano la suggestione che innesca la nascente attrazione tra la stessa Laura e il tenero e malinconico collega che l’aiuta nelle sue indagini, e che, una volta scomparsa,  si ritroverà suo malgrado a cercare proprio assieme al compagno della ragazza. Ma la vertigine hitchcockiana, anche se forse qui il rimando più esatto è a Laura di Otto Preminger (peraltro il titolo italiano è Vertigine…) con il suo decostruito e rigenerato ritratto femminile, non riguarda lo spiazzamento drammaturgico della precoce morte dell’eroina, come in Psycho, bensì il suo contrario: come quel film a un certo, scioccante punto smetteva di essere un film su una ladra in fuga e diventava la rappresentazione di un giovane uomo schizofrenico, questo non è un film su due uomini alla scoperta di ciò che è accaduto alla donna che entrambi amano, ma si dilata nel tempo e  si dirama nello spazio in durate e direzioni sempre altre.

Le quattro ore complessive, da vedere rigorosamente insieme per il loro intersecarsi e dividersi in un processo in progress  che richiede una sintonia psicoemotiva dell’esperienza prima di una comprensione razionale, sono puntellate da reminiscenze di un mélo svuotato e ridotto all’osso di un bacio, seppur molto carnale e molto atteso, tra Laura e il suo partner; ma c’è anche lo scarto surrealista e bunueliano di personaggi che parlano fuori dal segno del “buon senso comune”, toccando  metalinguisticamente altre dimensioni ( l’inconscio, il rimosso, le pulsioni );  un processuale far sparire la parola come strumento di conoscenza e di comunicazione, visto che tutto quello che viene detto o scritto è soggetto a manipolazioni o depistamenti, per restituire all’immagine, un po’ come ha fatto l’ultimo Godard, il primato sensoriale attraverso cui fare esperienza del mondo, della sua esistenza, nel lasciarne traccia e testimonianza.

Potremmo dire che è questa la vera questione messa in campo da Citarella, che mantiene  stilisticamente una misura e un profilo “bassi”, scelta doppiamente sorprendente in un’opera smisurata e ambiziosa come questa. Basti osservare la recitazione spontanea e sottotono degli interpreti , che restituiscono una sensazione di presa diretta quasi documentaristica, molto spesso filmati mentre sono intenti a compiere delle azioni (mangiare, camminare, guidare) magari anche in lunghi piani sequenza pronti a cogliere la verità di un gesto o di un’espressione nel momento, dunque  disponibile a modificarsi e a cambiarsi il momento successivo. Lo stare in mezzo alle cose e insieme anche da un’altra parte è emblematico di una mappatura non completamente terminata nel tratteggio dei sentieri percorribili, ma è come se la linea volesse rimanere interrotta e portare dentro quello che è rimasto fuori. Si tratta di un ossimorico accumulo per sottrazione, una marcata differenza specialmente tra I e II parte: se della storia d’amore intrecciata tra passato e presente vediamo perfino degli ipotetici flashback di ciò che potrebbe essere stato,  il “mostro del lago”  rimane una suggestione sonora e ambientale, con il dematerializzarsi di ogni elemento che ne fa contesto (incluse la scienziata che lo ha trovato e la sua compagna, con le quali Laura vive un ulteriore detour sentimentale). Lo s-paesamento si fa totale e si dissocia forma e sostanza , in una reiterata e decomposta scritta del “nome”, anche nei titoli di testa e di coda: Trenque Lauquen, ormai mutato in un  lynchano Mullholland Drive non viziato dal feroce culto losangelino dello star e dello studio system, ma lanciata sull’on the road dell’esistenziale domanda che fine ha fatto Laura (Palmer)?.

Ma non è corretto descrivere la  sorprendente e spiazzante, ancora una volta,  sequenza finale: meglio immaginarsi Laura che parte per lo spazio a bordo di uno quei futuristi palazzi-astronavi, in una scena che non vediamo, ma che forse abbiamo visto in un altro film, Still Life di Jia Zhangke.

 

Passato in anteprima a Roma al 16º Festival del cinema spagnolo e latinoamericano (5-12 novembre 2023 – Cinema Barberini)
In sala dal 16 novembre 2023


Trenque Lauquen  – Regia sceneggiatura: Laura Citarella, Laura Paredes; fotografia: Augustin Mendilaharzu; montaggio: Miguel de Zuviria, Alejo Moguillansky; musiche: Gabriel Chwojnik; interpreti: Laura Paredes, Elisa Carricajo, Veronica Llinas, Ezequiel Perri, Rafael Spregelburd; produzione: El Pampero Cine Grandfilm; origine: Argentina 2022; durata: 260 minuti; distribuzione: ExitMedia.

 

 

 

 

 

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