Coralie Fargeat ha conquistato la critica, il pubblico e un premio importante (premio per la migliore sceneggiatura) alla passata 77^ edizione del Festival di Cannes, grazie a un film, The Substance, in cui tematiche inflazionate, ma molto sentite dalla società, emergono con forza esplosiva e maestria. Parigina, classe 1976, la regista francese ci dona un lavoro lungo, ma che a differenza di altre opere in concorso giustifica la durata attraverso un racconto mozzafiato, ricco di omaggi, intuizioni, evocazioni, grandangoli, utilizzo degli effetti speciali a livelli che potremmo definire magistrali.
In The Substance vediamo un grande ritorno di Demi Moore, icona degli anni 90, che ha dimostrato con la sua interpretazione di essere al dì fuori degli stereotipi in cui forse ha rischiato di essere intrappolata: non a caso anche lei come il suo personaggio vive una fase di passaggio per un’attrice che nella Hollywood più aggressiva, viene considerata “anziana” nonostante la sua evidente avvenenza rispetto alla data anagrafica.
In un mondo distopico, in cui l’estetica si trasmuta in una nuova folle etica del vivere, in questo lavoro di Coralie Fargeat, la vecchiaia si riflette nella giovinezza, sdoppiandosi e mutando nella sua essenza più nociva.
Il corpo di Elizabeth Sparks produce, grazie all’intervento di una “sostanza” miracolosa, un suo doppio non identico ma complementare, che la sostituisce in tutto, soprattutto nella carriera ormai miseramente terminata a causa della decisione di un raccapricciante impresario televisivo (un esilarante Dennis Quaid) di mandarla in pensione.
In un surreale e a tratti futuristico scenario sia dal punto di vista scenografico che dei dialoghi, si inseriscono fatti atrocemente reali: nella vita delle donne occidentali è sempre più frequente la discriminazione dell’età, come se potessero essere annoverate tra i prodotti in scadenza di un enorme mercato capitalistico.
La giovane replicante interpretata da Margareth Qualley non rispetta le tempistiche dettate dalla “sostanza”, danneggiando in modo permanente il corpo che avrebbe dovuto beneficiare dello scambio, che si trasforma in un essere quasi biblico in quanto a vecchiezza.
L’illusione dell’eterna giovinezza o vita sono temi trattati in maniera sostanziosa nella filmografia mondiale, soprattutto quella legata alla letteratura gotica, ma ciò che distingue questo film dal passato, è la assoluta libertà stilistica nell’essere estremo, a costo di mostrare l’essenza più profonda della corruzione e del disagio.
Un’iniezione adrenalinica di immagini in cui il mondo fatuo acceso dalle luci televisive si alterna al buio degli interni di una casa hollywoodiana, in cui si consumano scene che evocano ricordi connessi a un’altra donna importante della storia e della cultura “altra” rispetto a quella maschile dominante dell’800: Mary Shelley e il suo Frankenstein.
Un toccante e non casuale collegamento che dimostra la sensibilità artistica di Fargeat, che non a caso ha scelto la mostruosità più disturbante per poter arrivare a produrre un elemento a cui pochi sono in grado di arrivare: il grottesco.
Bellezza, orrore, sublime e morte, temi portanti del romanticismo inglese, sono ripresi in maniera attuale e geniale da una regista di cui sentiremo parlare ancora molto.
La scena finale ci ricorda le immagini lynchiane di The Elephant Man ma in The Substance non c’è posto per la compassione, quello è un sentimento già estinto nel mondo di cui si parla nell’oblio umano rappresentato.
In Concorso al Festival di Cannes 2024 (Palma d’argento per la miglior sceneggiatura)
In sala dal 30 ottobre 2024.
The Substance – Regia e sceneggiatura: Coralie Fargeat; fotografia: Benjamin Kracun; montaggio: Coralie Fargeat, Jerome Eltabet, Valentin Feron; musica: Raffertie; interpreti: Demi Moore, Dennis Quaid, Hugo Diego Garcia, Joseph Balderrama, Margaret Qualley, Philip Schurer; produzione: A Good Story, Working Title Films; origine: Francia/ GB/ USA, 2024; durata: 140 minuti; distribuzione: I Wonder Pictures.