40° Torino F.F.: La Piedad di Eduardo Casanova (Concorso)

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Irrealtà, fantasmagoria, allegoria, horror, splatter, Corea del Nord, dittatura, eccesso, incesto, suicidio, allattamento al seno, parto di un uomo adulto: questi e molti altri gli elementi che compongono un film dalla fotografia pastello, sfocato nei contorni come una fiaba di lusso, come un bonbon, lucido come i modellini anni Cinquanta di shantung di sera rosa indossati da Angela Molina, di nome Libertad, madre autoritaria e castrante di Mateo (Manel Llunell), coordinato in rosa per il giorno e per la notte.

Sin dalle prime scene il pubblico deve accettare paradossi: un ragazzo nei suoi vent’anni si comporta e si lascia trattare come un bambino piccolo dalla madre che lo nutre, si fa accompagnare alle prove di ballo (una coreografia da musical cantata in una lingua orientale che il figlio, buono come un angioletto assiste da un angolo), gli taglia le unghie dei piedi, lo forza a dormire con lei nel lettone matrimoniale. Nel cassetto del comodino, in camera da letto, una foto stracciata a metà di un uomo adulto, presumibilmente il marito della donna e il padre assente, segno di un matrimonio finito male. Libertad, ribaltando il suo nome, nega la libertà del figlio a suo piacimento, vive con lui una simbiosi assoluta, non conosce limiti né margini di dubbio. Il loro rapporto viene incrinato presto da una diagnosi di tumore al cervello per Mateo che la madre si rifiuta di accettare, all’inizio, continuando a ripetere di essere lei malata. Ben presto, però, la dimensione della malattia filiale diviene l’unica possibilità di mantenere serrate le fila della morbosità di sottomissione: quando non è flebile e senza forze, spossato dalle cure chemioterapiche, Mateo prova a varcare la soglia di casa e uscire ma ne è incapace psicologicamente: il cordone non si stacca nemmeno a stracciarlo coi denti o con un taglia-unghie.

Parallelamente – tramite un notiziario televisivo e delle scene a stacco – viene narrata la vicenda di una famiglia nord coreana che fugge dal regime dopo aver visto morire le due figlie avvelenate per ordine del governo. L’evoluzione – specchiata, capovolta, ribaltata, confusa fusa affermata – della trama degenera in una raggiera di drammi uno dentro l’altro (salti dalla finestra, fragole all’arsenico, pasticche di cianuro, pillole per dormire, sigarette in gravidanza, doglie, vomito, suspence e tremiti), fino a declamare la tesi secondo cui, come era evidente dall’inizio, la dipendenza da un padrone, che sia a capo di una famiglia o di una nazione governata da un regime dittatoriale, sia fondata sull’accordo di due parti e non solo frutto del volere egoistico di una sola. Vittima e carnefice, sacrificio o volontà, gioia e dolore, amore e morte. Facile. Abbiate pietà.


 La piedadRegia: Eduardo Casanova; sceneggiatura: Eduardo Casanova; fotografia: Luis Ángel Pérez; montaggio: Ángel Pazos; musica: Pedro Onetto; interpreti: Manel Llunell, Angela Molina, Macarena Gómez, Ana Polvorosa, Antonio Durán ‘Morris’; produzione: Pomeepsie Films, Crudofilms, Gente Seria; origine: Spagna, Argentina, 2022; durata: 80’.

 

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