Fly – Vola verso i tuoi sogni di Katja von Garnier

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C’è un’età dell’oro per ogni cosa – perfino la cultura hip-hop ne ha avuta una. Fra gli anni ’90 e i primi sbadigli del nostro vacillante terzo millennio tutti vogliono ballare: dall’imbianchino al colletto bianco, dall’adolescente ribelle alla casalinga di mezz’età inurbata e con dieci figli a carico, non esiste stereotipo sociale che non possa essere trasgredito a ritmo di waves, popping, locking, roboting e via dicendo. La strada si fa teatro (ma quando mai non lo è stata?) ed esordisce sul grande schermo, forse cercando nella settima arte un’ancora di salvataggio – o forse no. Chi non ricorda con un pizzico di nostalgia l’inverosimile saga di Step-Up, il cui appuntamento biennale richiamava in sala liceali annoiati e goffi ragazzini, ognuno con il proprio bagaglio d’insicurezze accuratamente nascosto nei jeans a vita bassa e nelle magliette taglia XXL? Nessuno ancora poteva saperlo, ma il pubblico degli ex-blockbuster in pieno stile Honey (2003) era composto al 99% dai futuri protagonisti di un avvenire precario – un avvenire già presente nel presente e che, per brevi istanti, pareva dissolversi negli spettacolari virtuosismi dei ballerini, nel loro artificioso gergo di banlieue, nell’audace e inibita aggressività emanata dai corpi in perenne movimento.

Nell’epoca del rap, del beatboxing e della break dance, l’educazione sentimentale di Dirty Dancing (1987) o il romanzetto di formazione à la Flashdance (1983) diventano improvvisamente superflui: Non c’è più nulla da imparare, i personaggi si limitano a svolazzare di scenario in scenario come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se non conoscessero altro linguaggio che non fosse quello muto, sordo e cieco del mimo posseduto da una forza estranea. L’energia sprigionatasi dal grande schermo era tale da restituire il buonumore al più cinico dei fatalisti, e lo spettatore medio finiva per rientrare nell’apatia quotidiana camminando sulla luna come Michael Jackson in Billie Jean. Poi qualcosa cambiò.

Intorno al 2012, infatti, la grande ubriacatura giunge al suo triste epilogo. Gli stanchi festaioli rimpatriano fra suburbi, night-club e palestre abbandonate in cui nessuno si avventurerà più. Il Bronx hollywoodiano di Jessica Alba o Channing Tatum svanisce come per incanto, la strada ritorna ad essere soltanto la strada e perde quell’esasperato vitalismo che l’occhio marcatamente pop della cinepresa targata MTV aveva saputo conferirgli. Peggio ancora: la danza ritorna all’élite, ai circoli esclusivi di Broadway e al vecchio ovile del Musical, la moda si fa esperimento, l’adolescente cresce e diventa un giovane adulto impreparato e inadatto ad un domani divenuto attuale come per magia. La gestualità dei performer si tramuta nel vernacolo morboso e inconoscibile parlato dalle étoiles mancate di Climax, l’allucinato thriller di Gaspar Noé che nel 2018 dette (non senza un certo impietoso sarcasmo) il colpo di grazia alle gioiose coreografie del decennio precedente.

Ad oggi, in piena distopia post-pandemica, post-conflitto, post-tracollo economico e chi più ne ha più ne metta, realizzare un film come Fly è un’impresa a dir poco coraggiosa: la nuova opera della regista tedesca Katja von Garnier pare uscita da un universo parallelo nel quale, per un miracolo a noi purtroppo ignoto, l’umanità non è mai stata mortificata da alcuna disgrazia e ha semplicemente continuato a ballare. La trama è romantica e gustosamente ingenua come quella di una qualsiasi favola urbana: Bex (Svenja Young) si trova in cella per motivi in parte ignoti e deve fare i conti con il recente trauma di un mancato annegamento. I compagni Jay (Ben Wichert), Fahid (Majid Kessab), Carmel (Luwam Russom), Wave (Christian Zacharas) e Miyu (Yui Kawaguchi) condividono il medesimo destino, nonché quel carcere innanzitutto psicologico a cui ognuno è giunto per vie diverse – vie travagliate e perigliose chiamate spaccio, furto, truffa, violenza, solitudine, abbandono. Oltre all’irreprimibile bisogno di essere salvati, i nostri rebels without a cause condividono una viscerale passione per la danza. Entrati (loro malgrado) a far parte di un piano correttivo sperimentale che vorrebbe inscrivere l’hip-hop nella rassicurante cornice sociale della buona condotta, i protagonisti si ritroveranno alle prese con Ava (Jasmin Tabatabai), l’insegnante giusta al momento giusto.

Quest’ultima, guarda caso, di fallimenti, traumi e scelte sbagliate ne sa qualcosa: ex-sognatrice e tassista più per disincanto che non per scelta, orfana degli affetti più cari e prigioniera di un passato infelice, Ava saprà riportare ordine nell’anarchia e dirottare i suoi ragazzi verso il classico futuro migliore – qui rappresentato dalla fondazione di un teatro pensato appositamente per ballerini di strada. Ad aiutarla nell’impresa sarà l’amica Sara (una sparuta Nicolette Krebitz), leziosa burocrate dall’aspetto uggioso e occhialuto ma capace, al contempo, di scrutare al di fuori dall’odiosa catechesi che i suoi colleghi in giacca e cravatta spesso suggeriscono. L’happy ending è assicurato, in fondo lo sappiamo dall’inizio, ed è proprio questa consapevolezza a renderci novelli quattordicenni, a permetterci di osservare con eccitazione infantile una Berlino animata da un ritmo e una gestualità in fondo sempre noti.

In breve: Fly è un salto nel passato, un canto del cigno forse, una leggera piroetta in direzione opposta al greve e ombratile oggi che ci circonda. Nonostante la sceneggiatura un po’ abbozzata e lacunosa (di cui comunque non sentiamo la mancanza) o le numerose ingenuità narrative (che in ogni caso salutiamo con gioia), il lungometraggio di Katja von Garnier ci appare nel complesso audace, lieve come una piuma e piacevolmente sfacciato proprio grazie alla leggerezza che lo contraddistingue.

Consigliamo la visione in particolare ai vecchi amanti di Step-Up che ogni tanto, in segreto, provano l’irresistibile desiderio di voltarsi verso i luminosi anni ’90 ed eseguire un ultimo moonwalk sull’adolescenza perduta.

In sala dal 14 luglio


Cast& Credits

Fly – Vola verso i tuoi sogni  (Fly) – Regia: Katja von Garnier; sceneggiatura: Daphne Ferraro; fotografia: Torsten Breuer; montaggio: Claus Wehlisch, Alexander Dittner, Sven Budelmann, Robert Eyssen;  interpreti: Svenja Young (Bex), Ben Wichert (Jay), Jasmin Tabatabai (Ava), Nicolette Krebitz (sara), Majid Kessab (fahid), Luwam „luulu“ Russom (Carmel), Christian Zacharas/ Robozee (Wave); produzione: Studio Canal; origine: Germania 2021; durata: 110’; distribuzione: Adler Entertainment.

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