Macbeth, le cose nascoste

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L’inizio è la fine, la fine è l’inizio. Il bello è brutto, il brutto è bello, tra cielo e terra ogni cosa balla”.
Macbeth, le cose nascoste, intenso quanto complesso lavoro di Carmelo Rifici, in scena al Teatro Argentina fino al 13 giugno, è articolato in un prologo (la seduta psicanalitica di ciascuno degli interpreti ), tre parti (interpretate da tre differenti coppie di Macbeth/Lady Macbeth,  e un epilogo. 
Nella visione di Carmelo Rifici e Angela Demattè non esiste una verità univoca e le coppie in scena Lady Macbeth/Macbeth rappresentano momenti diversi di un percorso psicologico – dei personaggi-  che parte dall’innocenza, passa attraverso la macchinazione del delitto per poi terminare con la caduta e la rovina di Lady Macbeth e del suo tiranno, incapace di sostenere interiormente la colpa di cui si è macchiato.
La psicoanalisi è anzitutto il punto di partenza che avvicina gli attori ai personaggi del Macbeth: attraverso la sapiente guida di Giuseppe Lombardi, psicoanalista junghiano, e Luciana Vigato, psicoterapeuta, i protagonisti ripercorrono sul palcoscenico attraverso il racconto di loro stessi, vicende personali  toccanti  e segreti inconfessabili, ritrovando punti di stretto contatto con le tematiche del Macbeth
Molto interessante il prologo, che indaga sulle ragioni profonde della cattiveria umana, a cui non siamo mai preparati, soprattutto non siamo preparati a fare i conti con la nostra coscienza..

Non siamo mai preparati alla cattiveria altrui e alla nostra anche. Come si può gestire quella parte negativa di sé?

Così progressivamente emerge sulla scena, dai racconti degli attori, e allo stesso tempo dalle proiezioni delle “sedute psicoanalitiche reali”, il desiderio dell’ambizione e la voglia di fare quel fatidico “salto”, la connessione con un mondo magico e antico capace di parlare alla parte più istintiva dell’uomo, la seduzione del potere femminile, capace di incantare e di manipolare, a volte consapevolmente, il destino.
Sono momenti delicati e di progressiva conoscenza, capaci di avvicinare il pubblico agli attori ma soprattutto a un testo di per se complesso e pieno di sfaccettature. 
L’ambizione, l’antica sapienza fatta di riti, l’istintività legata alla conoscenza della propria “strega interiore” e la connessione con le pulsioni più recondite dell’essere umano, sono elementi riconoscibili e presenti in tutti noi, ieri come oggi e da questo presupposto parte e si sviluppa lo spettacolo.
Ci si immerge così nella seconda parte, lo studio dei personaggi, il testo vero e proprio, partendo dal presupposto che Macbeth vuole andare oltre, scoprendo il nucleo delle cose, distruggendo e capovolgendo  il punto di vista,
e gli attori sul palcoscenico giocano infatti continuamente con le loro “parti” immersi nell’elemento acqua,  presente sul palcoscenico e allo stesso tempo nelle video proiezioni. 
L’acqua che scorre sul video/l’acqua sul palco lentamente libera l’inconscio degli attori/personaggi che gradualmente mostrano la loro parte più recondita, nascosta appunto, con la quale tocca fare i conti, prima o poi.
E’ un percorso vero e proprio, un flusso di coscienza continuo che immerge totalmente lo spettatore in un viaggio alla scoperta della profondità delle cose e che porta poi, alla sezione forse più interessante di questo originale  lavoro, il mondo di Ecate, alla scoperta del proprio diavolo interiore.
Momento di grande intensità la parte finale, in cui l’immagine dell’assassinio di Duncan, e il suo corpo pieno di sangue si lega ai ricordi  – che sembrano molto vivi – di Tindaro Granata  quando da piccolo assisteva all’uccisione del maiale, appeso a testa in giù per liberarlo del suo sangue e non rendere amara la carne dell’animale.
Alessandro Bandini, che interpreta con grande trasporto di figlio di Macduff, sarà dapprima appeso proprio a testa in giù, e poi, liberato dalle “streghe”, (le stesse streghe che avevano preannunciato a Macbeth il suo destino) e  poi, ricoprendolo d’oro sulla scena, lo accompagnano nel regno dell’oltretomba. 
La scena è molto suggestiva, con uno spiccato taglio estetico e grazie anche al gioco di luci di Gianni Staropoli, le due immagini, quella dell’uccisione del figlio di Macduff e la sua morte, vissuta proprio come un rito, riescono a legarsi in maniera armoniosa e poetica al tempo stesso. Il racconto dell’uccisione del maiale, da una parte  e la visione del corpo coperto d’oro avvicinano l’orrore al sublime, creando un contrasto in cui il sangue del “delitto” sembra fondersi con l’iniziazione del viaggio nell’oltretomba, e la parola chiave è rito.
Se la psicologia è infatti la chiave di accesso a questo bel lavoro, la voce interiore,  legata alle pulsioni incontrollabili e irrazionali ne è l’ingrediente principale ed è qui intesa proprio come sapienza antica legata all’istintività,  mai sepolta ma sempre viva e presente in ognuno di noi.
Foto in evidenza LAC

Macbeth, le cose nascoste di  Angela Demattè e Carmelo Rifici tratto dall’opera di William Shakespeare; progetto e regia: Carmelo Rifici; dramaturgia: Simona Gonella; équipe scientifica: Dottore Psicoanalista Giuseppe Lombardi e Dottoressa Psicoanalista Luciana Vigato; scene: Paolo Di Benedetto; costumi: Margherita Baldoni; musiche: Zeno Gabaglio; disegno luci: Gianni Staropoli; video: Piritta Martikainen; assistente alla regia: Ugo Fiore; interpreti: Alessandro Bandini, Angelo Di Genio, Tindaro Granata, Leda Kreider, Christian La Rosa, Maria Pilar Pérez Aspa, Elena Rivoltini; produzione: LAC Lugano Arte e Cultura in coproduzione con Teatro Metastasio di Prato, TPE – Teatro Piemonte Europa, ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione e in collaborazione con Centro Teatrale Santacristina.

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