Mi duole molto ma vedo sul tuo capo la nube nera della regia!
Parole di Giorgio Strehler a Gabriele Lavia, con le quali il primo prevedeva il futuro del secondo e dava indizi sulla visione più ampia, e quindi registica, che già apparteneva all’attore Lavia: un’idea forte e vitale di teatro come luogo dello sguardo. Uno spazio nel quale l’uomo può prendere coscienza di sé vedendo il sé in scena, che sia Edipo, Re Lear o altri. Una specifica idea di teatro che deve essere poi messa su palcoscenico e che la singola opera teatrale, qualsiasi essa sia, può esprimere ma che soltanto un regista fedele a quella visione può conferire al lavoro:
È una stessa fiaba che si camuffa. Ma è la stessa fiaba!
E se l’attore può accennarlo, è solo il regista che ha l’occhio per spingere attori e maestranze verso la sua idea. Lo stesso Lavia asserisce:
Se mi puntassero una pistola alla testa e mi chiedessero di scegliere tra attore e regista?
Io direi il regista.
E regista sia, questa volta di Goldoni, Un curioso accidente.

È terminata la guerra dei sette anni. I francesi hanno malamente perso, gli olandesi sono rimasti neutrali, e per questo Monsieur Filiberto – ricco mercante olandese – si ritrova ad ospitare Monsieur De la Cotterie, soldato francese ferito. Ma il francese soffre più ferite, e non si tratta solo di guai al corpo, ma anche al cuore. Filiberto teme che il tenente – nobile ma cadetto, insomma un partito disperatissimo – si sia innamorato della figlia Giannina e che ritardi la partenza per rimanere con la donna, alla peggio chiederla in sposa. Ma Giannina è scaltra e rivela al padre che Monsieur De la Cotterie si è innamorato di Madamigella Costanza, figlia dell’avaro mercante Riccardo. Monsieur Filiberto si dichiara perciò pronto, anzi, prontissimo ad aiutare i due novelli amanti a vincere le ritrosie dell’avido Riccardo, ma non sa che l’amata è proprio Giannina e che il padre da vincere non è che lui.
Ad anticipare l’opera, la seguente prefazione di pugno di Goldoni:
L’argomento di questa Commedia non è che un fatto vero, verissimo, accaduto, non ha molto tempo, in una città di Olanda. Mi fu raccontato da persone degne di fede in Venezia al Caffè della Sultana, nella Piazza di S. Marco, e le persone medesime mi hanno eccitato a formarne una Comica rappresentazione.
Una comica rappresentazione di un fatto reale accaduto in Olanda, secondo il principio illuminista settecentesco che prevede che soltanto la ricerca del vero, anzi del verissimo sia da essere perseguita. Lavia ne rispetta quindi il fulcro goldoniano, l’importanza del Vero, e lo innesta sulla sua idea forte di Teatro. La solidissima base teatrale non deve essere infatti nascosta, bensì resa palese: l’opera di Goldoni, prima di una narrazione o una commedia del vero, è un atto teatrale che ha le sue regole, necessità, convenzioni e persino cliché. E devono essere esplicitate, nei costumi e nella scenografia, come nella trattazione del testo e della recitazione.

Gli attori perciò vestono giacche (splendide) e cappelli sopra un rigoroso completo nero, il palcoscenico si riempie: pubblico in scena, sipario steso a mo’ di cascata sino alla platea, le quinte vomitate in avanti, camerino con tanto di luci esposto al pubblico. La recitazione è invece studiata nei movimenti e nell’esposizione, perché l’atto recitativo sia definito, chiaro e dichiarato. La lingua fedele a Goldoni, nell’accento oltre che nella sintassi. Tale è poi la scansione dei tempi: primo, secondo, terzo atto e il gioco di corse e ricorse, fughe e incontri tra quinte che sono doppie come lo è il pubblico. E infine sì, pure Arlecchino.
Perché persino Arlecchino fa la sua comparsa, a omaggiare L’Arlecchino servitore di due padroni di Giorgio Strehler e recuperare di nuovo quella Commedia dell’Arte simbolo del teatro italiano. E non è un caso né un’operazione di sola nostalgia. Quello che Gabriele Lavia vuole dirci con questo ennesimo lavoro – e con i suoi passati, si pensi a quel I giganti della montagna di Pirandello – è che il teatro anzitutto ha una sua identità. Un rispetto che gli deve essere dato e confermato. Perché
Il teatro è contemporaneo, deve unire due tempi: quello presente e quello dell’autore.
Ma il teatro ha anche una storia che fa da sfondo al tempo dell’autore e a quello presente: il luogo dello sguardo ha una sua tradizione che non deve perdersi né essere considerata superflua o superficiale relitto del passato. Bensì da ritenersi un termine di paragone, o meglio un’eredità vitale e corposa, a cui relazionarsi per attingere o su cui costruire la propria idea di teatro. Insomma, nella messa in scena di un’opera teatrale prima c’è il Teatro in quanto tale e poi il resto. In questo caso: prima il Teatro e poi Goldoni, che quel Teatro comunque lo ha creato. Perché il teatro non sia solo stato, bensì sia, sempre, un tempo di agnizione: dove scopriamo chi noi siamo.

Dal 31 ottobre al 19 novembre al Teatro Argentina, Roma.
Un curioso accidente di Carlo Goldoni – regia: Gabriele Lavia; scene: Alessandro Camera; costumi: Andrea Viotti; musiche: Andrea Nicolini; luci: Giuseppe Filipponio; suono: Riccardo Benassi; regista assistente: Enrico Torzillo; testi delle canzoni: Gabriele Lavia; foto: Tommaso Le Pera; interpreti: Gabriele Lavia, Federica Di Martino, Simone Toni, Giorgia Salari, Andrea Nicolini, Lorenzo Terenzi, Beatrice Ceccherini, Lorenzo Volpe, Leonardo Nicolini; produzione: Effimera, Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Teatro della Toscana.
