Ubu Re

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4
Massimo Andrei

Dopo il successo di Operacamion,  il regista Fabio Cherstich torna sul palco del Teatro Argentina con uno spettacolo dirompente e capace di amalgamare con maestria sperimentazioni linguistiche e innovazione: Ubu Re di Afred Jarry, autore provocatorio ed estremamente eccentrico per i suoi tempi  (il testo venne rappresentato per la prima volta nel 1896 a Parigi).

Fabio Cherstich e Luigi Serafini  (scene e costumi) “giocano” con Ubu Re da più punti di vita rendendo la messa in scena uno spettacolo dinamico, interessante e in continuo fermento. 

Il testo, satira feroce del potere in tutte le sue manifestazioni, è al tempo stesso attuale e profondamente innovativo: Padre Ubu, spinto dalla sua ambizione e dalla brama di successo della sua consorte Madre Ubu, uccide il re Venceslao e goffamente riesce ad impadronirsi del trono. Divorato dalla sua stessa personalità ottusa, non sa gestire il regno e uccide anche tutti coloro che lo avevano supportato.

Padre Ubu (interpretato da Massimo Andrei) è un personaggio infimo, rappresentazione dell’aspetto più meschino del potere: il successo viene raggiunto con i mezzi più illeciti, l’assassinio e la persecuzione di tutti, dai nobili – che vengono messi da parte – ai contadini, spolpati senza pietà fino all’osso. 

Degna consorte di padre Ubu, Madre Ubu (Gea Martire),  al tempo stesso gretta e poco più concreta del marito, è accecata dalla fame di denaro e non riesce a consigliare saggiamente Padre Ubu.

Il nuovo re Ubu, apparentemente saldo sul trono (rappresentato sul palco da una lavatrice) verrà poi sfidato da Bugrelao (Marco Cavalcoli), figlio del re morto.

Padre Ubu e la consorte ricordano la cieca ambizione di Macbeth e Lady Macbeth e la loro ottusità li porterà a subirne le conseguenze, dovute alla totale incapacità di lettura obiettiva della realtà. L’unica possibilità di salvezza sarà per padre e madre Ubu la fuga in mare verso l’ignoto.

I dialoghi tra padre Ubu e Madre Ubu sono grotteschi, gestiti per lo più nell’arena di sabbia, simbolicamente un non-luogo dove tutto può accadere: in questa continua rincorsa al potere l’arena rappresenta infatti teatro di scontri, luogo di fatica, spazio di ritrovo dei tesori e dei segreti inconfessabili.

L’arena centrale del Teatro Argentina diventa così una terra di mezzo, capace di legare i diversi avvenimenti della vicenda: i personaggi attraversano sempre e comunque l’immensa distesa di sabbia, luogo-non luogo di morte e “rinascita”.

In più, il circense Julian Lambert interpreta l’autore Jarry ed è un personaggio dentro e fuori lo spettacolo, al tempo stesso vicino al pubblico ma in scena con gli altri attori: interviene, commenta, parla al suo pubblico, agisce da filo conduttore degli eventi.

La messa in scena, così come il linguaggio utilizzato  è una continua sperimentazione e lo spazio viene sfruttato a tutto tondo: l’arena centrale diventa teatro di battaglie e scontri, la tribuna laterale  si trasforma in un “luogo improvvisato”  dal quale re Ubu tiene i suoi improbabili discorsi davanti a una folla affamata e disperata, sul palco emerge la figura del re fantoccio, un enorme impalcatura di porpora ed ermellino con la la testa minuscola del re.

D’altra parte, sul palco viene sempre raffigurato il potere: dapprima con la struttura enorme di porpora; poi, quando padre Ubu uccide  re Venceslao il trono diventa una “lavatrice” su cui siede goffamente  e dal quale fuoriescono lenzuola e carta con scritte ovunque, simbolo di un eccesso di parole e dell’aspetto peggiore del potere. Ubu, infatti, attaccandosi a parole di carta vuote, lentamente elimina tutti per ritrovarsi solo ed incapace di gestire l’immenso apparato.

Ubu re è  uno spettacolo non solo dinamico, intelligente e trasversale ma riesce a tenere viva l’attenzione del pubblico e a stimolarlo quasi fino alla fine.

Unico piccolo neo, nella parte finale è la tenuta scenica: lo spettacolo ha infatti un ritmo avvincente per quasi tutta la sua durata, poi, sul finale, dopo una delle numerose battaglie imbracciate sull’arena, l’atmosfera sembra perdere d’intensità e l’energia sembra lievemente affievolita.

La scelta scenica della fuga finale è infatti estremamente efficace, esteticamente straordinaria e di grande impatto visivo, tuttavia l’energia e il ritmo generale dello spettacolo, come detto, tendono ad affievolirsi.

In uno spettacolo di circa un’ora e quaranta ad un ritmo sempre sostenuto, vivace e vitale,  è quasi  fisiologico un calo di tenuta in chiusura.

il lavoro di Cherstich e Serafini rimane, in ogni caso, straordinariamente vivo e ricco da più punti di vista: eccentrico per le sperimentazioni sul testo, intenso per le interpretazioni del cast,  imprevedibile per le trovate sceniche e innovativo per l’utilizzo dello spazio.

Al Teatro Argentina dal 20 al 30 luglio 2021


Ubu Re di Alfred Jarry; traduzione: di Fabio Cherstich, Luigi Serafini, Tommaso Capodanno; regia: Fabio Cherstic;  scene e costumi: Luigi Serafini;  musica: Pasquale Catalano;  Interpreti:  Massimo Andrei, Gea Martire, Sara BorsarelliMarco Cavalcoli, Alessandro Bandini, Francesco Russo,  Julien Lambert.

 

 

 

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