Old

  • Voto
2.5

Tempus fugit

 

Il cinema di M. Night Shyamalan è da sempre un oggetto affascinante: conturbante, teorico, sicuramente psicoanalitico, eppure a volte troppo imbellettato ad arte, quasi furbescamente, magari, di tanto in tanto, saldamente incastonato in schemi prevedibili che, come nel caso di Old, convergono con eccessivo slancio e, quindi, si esauriscono, solo in funzione del classico colpo di scena finale. Un marchio di fabbrica “shyalamaniano” che, a onor del vero, potrà anche essere architettato per attirare spettatori in sala, ma non necessariamente riesce sempre a salvare il film di cui è estremità narrativa.

Stavolta il regista della splendida trilogia iniziata con Unbreakable si arma di cinepresa sul ciglio di un promontorio insulare e osserva i suoi personaggi-topolini da laboratorio in balìa delle anomalie geologiche di un finto pezzettino di paradiso, che ben presto si rivela una trappola mortale per quasi tutti i prescelti. Shyamalan li osserva con perizia da demiurgo e ne registra le sventure – la morte e i patimenti -, vestendo i panni di uno dei villan, così come quelli del regista: un duplice ruolo quasi metanarrativo, di evocativa impronta hitchcockiana, imbastendo – in cabina di regia – un thriller dai connotati sci-fi, immerso in avvolgenti atmosfere horror in campo aperto, svelandosi addirittura quasi come una sorta di documentario depravato sulle defezioni della psiche umana.

Sta di fatto che l’espediente narrativo dell’anomalia biologica-temporale di cui cadono vittime i protagonisti, seppur conservi un certo fascino, nonostante non si tratti di un’idea del tutto originale – ma poi cosa importa…? -, non trova forza vitale in una sceneggiatura poco equilibrata, ma vittima a sua volta di una smania insaziabile nell’andare a scovare lo stupore; d’altro canto, il regista di The village muove la macchina da presa con astuta lentezza, sfruttando lunghe e ansiose carrellate laterali o spezzoni di panoramiche, lasciando parlare il fuoricampo, che diventa quindi una porzione di spazio necessaria, in cui accade ciò da cui Old non può assolutamente prescindere: lo scorrere irregolare del tempo. Da questa contrazione ne vengono fuori momenti più riusciti  – le decomposizioni, le “apparizioni” dei cadaveri e sì, anche il perpetuo ruggito delle onde – e altri meno – come la gravidanza della giovane Kara e almeno un paio di slittamenti in cui si scopre, ahinoi, che non è accaduto proprio nulla.

Ma l’inconcludente resa di Old non sta tanto nell’insieme dei tentativi di Shyamalan di creare suspense, quanto nel fallito incastro tra svolgimento narrativo e indagine filosofica-introspettiva. È evidente come il cineasta americano si impegni a costruire un microcosmo famigliare variegato – di fatto, se si esclude la presenza del rapper interpretato con grande effetto da Aaron Pierre, tutti i soggetti scelti sono membri di piccoli nuclei famigliari – per scandagliare pregi e difetti di individui troppo impegnati a fingere di essere qualcun altro o, certamente, a nascondere in modo del tutto vanaglorioso le loro defezioni cliniche e psicosomatiche – e ne è un fulgido compendio il breve monologo dell’appariscente Chrystal, nel momento in cui racconta di aver lasciato un ragazzo di cui era innamorata solo perché non aveva nulla da offrire. Ma, a visione conclusa, la sensazione predominante è che l’impalcatura narrativa utilizzata dal regista per erigere il suo nuovo film, non è alla portata di un’idea molto più penetrante e complessa della messa in scena stessa; così la storia narrata in Old finisce con l’apparire poco interessante, sminuita da un didascalismo anche grottesco – pessimo il flashback finale in cui viene mostrato come Trent e Maddox riescono a salvarsi dalla barriera di coralli -, per non parlare di quell’atteso plot twist che si esaurisce in una trovata poco intrigante, sicuramente non all’altezza dei contenuti dei colpi di scena architettati dal filmmaker di origini indiane nel corso della sua carriera. E questa scollatura tra il contenuto e lo scopo narrativo di Old danneggia in primis ogni tentativo di profonda introspezione della vita vissuta dei protagonisti. Sterile vouyerismo.


Old – Regia: M. Night Shyamalan; sceneggiatura: M. Night Shyamalan (dalla graphic novel di Pierre-Oscar Levy e Frederick Peeters); fotografia: Mike Gioulakis; montaggio: Brett M. Reed; musica: Trevor Gureckis; interpreti: Gael García Bernal, Vicky Krieps, Rufus Sewell, Ken Leung, Nikki Amuka-Bird, Abbey Lee, Kathleen Chalfant, Aaron Pierre, Alex Wolff, Luca Faustino Rodriguez, Emun Elliott, Eliza Scanlen, Mikaya Fisher, Kyle Bailey, Thomasin McKenzie, Alexa Swinton, Embeth Davidtz, Gustaf Hammarsten; produzione: Blinding Edge Pictures;  origine: USA, 2021; durata: 108’; distribuzione: Universal Pictures.

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