Almodovar – lo sguardo insolente di Catherine Ullmer Lopez

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Pedro prima di essere solo Almodovar, il corpo performante che diventa opera/sguardo sul mondo proprio ed altrui prima dello status di regista iconico, di portatore di una poetica marcata e riconoscibile : cosa si intende e come si è arrivati alla definizione di almodovariano?.

Almodovar- lo sguardo insolente , il documentario che la regista francese Catherine Ullmer Lopez ha realizzato con un’ impronta tra la ricostruzione biografica e la riflessione sul suo cinema (dai primi corti degli anni ’70 fino a Madres paralelas, 2021) sembra partire dal cercare i segni di un immaginario fermentato all’interno di un placido contesto di un paesino de La Mancha – suo luogo di nascita identificato dalla parole dello stesso Pedro con la figura dei cortili all’aria aperta nei quali le donne si riunivano per telare – ed esploso sulla scena permanente di una Madrid post franchista che oppone il calore e il colore della pulsioni fino a quel momento  clandestine o represse a un passato squadrista, militare, mortifero.

Con un uso misurato ed efficace dell’archivio sia fotografico che audiovisivo, questo passaggio dalla casa familiare alla Madrid ancora sotto il cappio dittatoriale per arrivare agli anni ’80 della liberazione e del piacere,  viene fatto risuonare nel processo di costruzione dello sguardo “almodovariano.  I personaggi femminili, cosi centrali nell’esprimere una posizione immersa, intensa, viscerale nel substrato sentimentale e sessuale delle relazioni- la materia incandescente dei suoi racconti- sono fin dalle prime immagini relazionati e plasmati sulla figura materna spesso presente, con la schiettezza della sua tempra rurale, in ruoli cameo dentro i film del figlio; ma non si tratta di rappresentare la ramificazioni di una struttura matriarcale- per quanto la dimensione socio culturale fosse l’espressione, soprattutto in alcune zone contadine della Spagna, proprio di questa condizione- idealizzata o esente da contraddizioni e ferite.

Se le donne hanno la capacità di tenere insieme, sullo stesso piano spazio temporale, l’occultamento del cadavere di un padre abusante con il lavoro quotidiano di sostentamento di una comunità come accade alla Raimunda/Penelope Cruz di Volver ( film dichiaratamente trasfigurante la memoria autobiografica del proprio elemento materno ), una madre può anche imprimere un senso di malinconica rassegnazione e inadeguatezza. Molto acuto, da questo punto di vista, al termine di un primo blocco legato al ricordo delle figure genitoriali, l’inserimento della sequenza di Dolor y gloria nella quale Antonio Banderas, esplicito alter ego di Almodovar, si scusa, in maniera passivo-aggressiva, con la madre per non essere diventato ciò che lei avrebbe voluto, recriminando al tempo stesso di non essersi mai sentito accettato per quello che è.

Una dichiarazione, sommessa e misurata, di amore/rancore e di una forma di dipendenza che, ancora nella piena età di uomo adulto e di successo, sembra non aver trovato una pacificazione. E tornando allo svolgimento cronologico degli eventi pubblici e privati, la fuga a Madrid del adolescente ma già risoluto Pedro (risolutezza che, per paradosso, viene dalla solidità e serenità di una famiglia amorevole e amata seppur nei suoi tratti inevitabilmente conservatori) arriva come una risposta forte e vitale, convogliata nella gioiosa e colorata anarchia del movimento punk madrileno che ribalta lo spirito iconoclasta e distruttivo dei Sex Pistols in un adagio più scanzonato ed edonista: “si vive una volta sola”,  e ogni volta che si vive  c’è la possibilità di fare qualsiasi cosa , peraltro come se fosse la prima. L’Almodovar cineasta, a partire da Pepi, Lucy, Bom e le altre ragazze del mucchio, introietta questa capacità di guardare alla trasformazione sostanziale e formale di un microcosmo finalmente in grado di assorbire le istanze delle nuove generazioni con candore e spregiudicatezza.

Non si tratta di fare resistenza od opposizione all’ ancient regime, Almodovar & co., con l’entourage di artisti che cominciava a formarsi intorno al suo nucleo creativo, si comportano come se Franco non fosse mai esistito, o quantomeno, nelle prime opere , non se ne parla mai direttamente, non è la questione che determina le azioni, i sentimenti, l’interagire dei personaggi. Ma non si tratta di omettere o di rimuovere, bensì di mostrare le conseguenze eccedenti di un risveglio pieno di desiderio, espresso in un’ alterazione del livello percettivo della realtà. Si tratta allora di imprimere sullo schermo forme, colori ,  volti e occhi, di sollevare la visione monocorde e monocromatica del passato alla magnificenza technicolor dell’immagine di un mélo , di una commedia o di un musical degli anni ’50.

Nel film di Ullmer Lopez, dopo una prima parte decisamente più propulsiva e stimolante, la fase ascendente non è ugualmente approfondita e sviluppata, anche perché un’ora di tempo, per indagare una personalità che assume su di sé i multiformi strati di un tumulto creativo tanto generoso, non risulta soddisfacente a far comprendere  la progressiva acquisizione di una maturità autoriale.

Si ha l’impressione che si stia parlando di un marchio, di uno stile gradualmente svuotato da una dialettica fiammeggiante tra immaginario e realtà, con il rischio di chiudersi in se stesso, nell’autoreferenzialità dei propri specchi/fantasmi.  E proprio in quanto assai complessa, tutta l’ultima produzione avrebbe meritato uno spazio e un respiro più estesi del riferimento  alla consacrazione internazionale da premio Oscar, o alla riduzione del duplice stato tra giovane insolente e riconosciuto maestro. Almodovar continua ad avere bisogno di Pedro, per aprire il suo peculiare e liberatorio immaginario alla vita rimasta attaccata alla carne e alle ossa.  E fors questo doc riscatta un certo tono sbrigativo con il  riferimento alla necessità di dissotterrare i morti desaparecidos della guerra civile spagnola, citando il momento più esplicitamente politico di tutto il cinema almodovariano, presente nel finale di Madres paralelas; e sono ancora una volta le donne, per le quali la maternità è una scelta e non una predestinazione o un dato che ne esaurisce le opportunità di espressione, a farsi voce e sguardo che amplifica con etica ostinazione l’importanza di farsi testimoni di un sopruso così radicale. Uno iato di sgomento e di silenzio prima che la festa possa (ri) cominciare.

In sala dal 17 ottobre 2024


Almodovar- lo sguardo insolente (Almodovar, l’insolent de la Mancha)  – Regia e sceneggiatura: Catherine Ullmer Lopez; voce narrante: Olivia Ruiz; produzione: Gilles Lopez; origine: Francia, 2023; durata: 53 minuti; distribuzione: ExitMedia

 

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