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Voto
Dopo aver presentato cinque anni fa a Berlino il film d’esordio (Wildland, di cui avevamo parlato), la regista danese Jeanette Nordahl (1985) torna al Festival, anche stavolta nella sezione Panorama, con un film dal titolo internazionale Beginnings. Di nuovo, come il precedente, un film sulla famiglia e le sue perversioni.
Una coppia sulla cinquantina con due figlie, una adolescente, l’altra un po’ più piccola, ha deciso di separarsi, o meglio: lui vuole andare a vivere con un’altra donna, lei non può fare altro che accettare. Lui lavora in una cooperativa di ragazzi difficili, lei è un’universitaria, biologa marina in carriera, la figlia maggiore è una promettente ginnasta, la figlia minore ha un acquario. Restano due cose da fare prima di procedere: dirlo alle figlie e far valutare la casa per poi decidere se madre e figlie resteranno lì oppure no. Prima l’una cosa o prima l’altra? Di questo discutono i due – presto -ex coniugi nella scena iniziale, Bergman docet. Ma dopo pochi minuti le questioni da affrontare diventano altre, perché una mattina Ane (interpretata da Trine Dyrholm, come al solito eccellente, di recente è stata la serial killer di The Girl With the Needle) stramazza a terra in bagno. Gli altri sono già usciti tutti di casa e passano ore prima che il marito si accorga dell’accaduto, rientrando a casa. L’accaduto è un ictus con paresi a entrambi gli arti sul lato sinistro, la parola e le funzioni cognitive non sembrano invece intaccate. Che succederà adesso? Si chiede lo spettatore. Che fare adesso? Si chiede il marito.
C’è, bisogna dirlo, un sospetto strisciante fin da subito, da parte di chi vede il film. Non sarà che la malattia di Ane finirà per mettere in discussione la scelta che sembrava già compiuta? Sembrerebbe troppo facile una scelta del genere. Parrebbe troppo scontato che – mentre Ane si dedica alla riabilitazione con fisioterapista e nuoto, Thomas (David Dencik) piano piano ritorna al lavoro, rivede la nuova compagna Stine che sta sistemando la casa in attesa che Thomas la raggiunga, le ragazzine riscoprono una rinnovata armonia fra i genitori seppur in larga parte basata sul marito in funzione caregiver della moglie bisognosa – i due tornino ad avvicinarsi e il marito, fin da subito descritto come non proprio un cuor di leone, torni ad accomodarsi in una situazione dalla quale, tutto sommato, mai aveva davvero preso commiato.
Non riveliamo come andranno le cose e se questo sospetto iniziale si rivelerà davvero fondato. Riveliamo invece che il film presenta una spiccata attitudine dalla conciliazione (cosa che nel film d’esordio non accadeva), a non affrontare di petto le tragedie e i drammi della vita, pur presentando numerose situazioni in cui tutto potrebbe deflagrare prendendo una piega tragica. Quel che si lascia apprezzare in questo film che, malgrado molte scene girate in esterno o in diversi spazi, è e resta un Kammerspiel sono due cose: da un lato una riflessione sul rapporto fra corpo e mente, salute e malattia che vede coinvolta non solo la madre ma anche la figlia maggiore; dall’altro il carattere in fondo coercitivo del sistema famiglia con tutte le sue attribuzioni, ciò che viene esemplato dalla struttura claustrofobica della casa e dall’acquario, a cui la figlia minore dedica intermittenti attenzioni. Il titolo è a dir poco contraddittorio. Io lo interpreto come un riferimento a potenzialità che nell’insieme restano inespresse.
Begyndelser – Regia: Jeannette Nordahl; sceneggiatura: Rasmus Birch, Jeannette Nordahl; fotografia: Shadi Chabaan; montaggio: Rasmus Gitz-Johansen; interpreti: Tryne Dyrholm (Ane), David Dencik (Thomas); produzione: Snowglobe, Copenhagen; Hobab, Stoccolma; Lemming, Gent; origine: Danimarca/ Svezia/ Belgio, 2025; durata: 96 minuti.
