Yunan di Ameer Fakher Eldin

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Munir (Georges Khabbaz) si è ritirato su un promontorio della Germania per riflettere sull’ultimo atto della sua vita in isolamento (praticamente un suicidio). Afflitto dal dolore e dalla rassegnazione, spera di trovare chiarezza e pace nella solitudine. Ma il suo esilio autoimposto viene interrotto dall’arrivo nella sua vita di Valeska (Hanna Schygulla), figura intelligente e dal cuore caldo, anche lei alla ricerca di risposte ai grandi interrogativi della vita. Tra i due si instaura un legame inaspettato. La compassione di Valeska e la sua solida saggezza di vita iniziano lentamente a far emergere Munir dalla sua oscurità interiore. In particolare, Munir si reca in viaggio nelle Halligen della Frisia settentrionale sperando di ricevere da quel luogo un effetto catartico, soprattutto nell’imbattersi in una tempesta, fenomeno atmosferico sempre lì atteso insieme all’altra marea. Durante il soggiorno, Munir è esposto principalmente a se stesso, ai suoi pensieri, al suo dolore, ai suoi sogni e ai suoi ricordi. Ed è proprio per questo che egli ha scelto l’Hallig Langeneß, per trovare la pace interiore. Originario della Siria e residente ad Amburgo, Munir spera di poter finalmente tirare il fiato sull’isola del Mare del Nord. In più egli soffre di una mancanza di respiro inspiegabile, che mette in difficoltà perfino i suoi medici. Sembra essere di natura psicosomatica, e ciò lo porta a essere profondamente infelice. Riesce a vedere la madre anziana e debilitata solo tramite videochiamata, e gli sale la nostalgia gli mancano lei e la sua casa. Munir ha una pistola nel bagaglio e sta pensando di porre fine alla sua vita sull’Hallig. Una volta giunto lì, prova a usare l’arma, ma poi non riesce a compiere il gesto suicida. In questo atto “mancato”, forse c’entra qualcosa proprio l’allegra e amichevole locandiera Valeska, che accoglie lo straniero nonostante le camere siano al completo. Si accorge che il taciturno Munir ha in mente qualcosa e che quest’uomo, richiedente in modo insistente una stanza per dormire, ha urgente bisogno del distacco dal mondo. Le due personalità, assai diverse tra loro, conquistano sempre più fiducia l’una nell’altra e, dopo l’ondata di tempesta che allaga l’intero Hallig (a eccezione delle poche case più in alto), Munir riesce persino a tornare a respirare di nuovo meglio… Yunan è il secondo lungometraggio del regista trentatreenne Ameer Fakher Eldin che è stato presentato in Concorso alla Berlinale 2025.

Hanna Schygulla

Il film risulta essere il secondo lavoro della trilogia denominata Homeland. Il primo, dal titolo Al Garib (Lo straniero, 2021) presentato alla “Giornate degli Autori” veneziane, è la pellicola d’esordio del regista, nato a Kiev da genitori siriani, ed ambientato sulle alture del Golan. Questo territorio siriano, occupato da Israele nel 1967 durante la Guerra dei sei giorni, è la terra d’origine dei cari di Eldin. Subito dopo la sua nascita in Ucraina, i suoi genitori tornarono lì con lui. Sebbene la sua famiglia sia siriana, Eldin non è mai stato in Siria. Quindi sa bene cosa significhi “essere espulsi”, come sa anche cosa si prova a essere esiliati. In fondo il personaggio di Munir (un siriano che vive anche lui ad Amburgo) si può interpretare come un (anziano) alter ego dell’autore. E la storia che si racconta in Yunan è anche un po’ la sua, in realtà. Eldin, che si occupa della sceneggiatura e del montaggio oltre che della regia, inserisce un altro livello narrativo nel viaggio di Munir alla volta del Mare del Nord: egli, che boccheggia costantemente e desidera ardentemente la sua patria siriana, continua a rivivere in mente una storia che sua madre gli raccontava sempre da bambino. È la fiaba di un pastore e di sua moglie. Il film mostra i due attenti a lavorare col bestiame in un paesaggio mitico e deserto, dove la civiltà sembra lontana. Munir continua a pensare a questa storia abitando sul piovoso e tempestoso Hallig e, proprio come il pubblico, ha davanti agli occhi le immagini della coppia di pastori in questo paesaggio dorato e splendente. Quale ruolo svolgano queste due persone silenziose, se la moglie del pastore simboleggi forse la madre di Munir, resta un mistero aperto.
Ameer Fakher Eldin disegna un altro quadro simbolico il giorno dopo la tempesta, quando le masse d’acqua si sono ritirate dalla terraferma: Munir trova un capodoglio morto sull’Hallig. L’autore dice del suo Yunan che voleva catturare l’anima nell’immagine. Certo in parte ci è riuscito. L’attore protagonista libanese Georges Khabbaz (che non parla tedesco, ma ha recitato il ruolo in tedesco) riesce a esprimere il desiderio di un uomo sofferente con un’interpretazione sobria e credibile. Al suo fianco impressiona anche la grande Hanna Schygulla.
Yunan è un film estremamente suggestivo che si prende il suo tempo con il suo flusso narrativo, ma a volte diventa forse un po’ troppo metaforico, per poterlo apprezzare appieno. L’idea estetica di girare spesso con lenti piano sequenza è efficace.

In Concorso al Festival di Berlino 2025
In sala dal 24 luglio 2025


Yunan; Regia, sceneggiatura e montaggio: Ameer Fakher Eldin; fotografia: Ronald Plante;  Eldin; musica: Suad Bushnaq; interpreti: Georges Khabbaz (Munir), Hanna Schygulla (Valeska), Ali Suliman (Shepard), Sibel Kekilli (Shepardess), Tom Wlaschiha (Karl), Nidal Al Achkar (madre di Munir); produzione: Dorothe Beinemeier, Catherine Chagnon, Marco Valerio Fusco, Micaela Fusco, Tony Copti, Jiries Copti per Red Balloon Film, Microclimat Films, Intramovies; origine: Germania /Canada/ Italia/ Palestina/ Qatar/Giordania/Arabia Saudita, 2025; durata: 124 minuti; distribuzione: Fandango.

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