Das deutsche Volk di Marcin Wierzchowski (Berlinale – Special)

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4

La cittadina di Hanau, in Assia, adagiata sul fiume Meno come la vicina Francoforte, è entrata nella storia della Germania cinque anni fa per l’eccidio che lì è stato consumato. La più grave strage di matrice razzista della storia tedesca dalla fine della Seconda guerra mondiale. Il 19 febbraio del 2020 un ragazzo del luogo ha sparato nell’arco di pochi minuti a nove persone identificate dal loro aspetto come stranieri e dunque nemici da abbattere. Il colpevole è poi tornato a casa, ha ucciso la madre e sé stesso. Nelle settimane seguenti ci furono grandi mobilitazioni e vibranti polemiche, funerali solenni e discorsi di circostanza delle autorità politiche. Poi quasi niente più. Il nome di Hanau è entrato nell’immaginario collettivo dei luoghi dell’orrore, ma fondamentalmente sull’evento è calato un silenzio tombale o quasi.

Anche per queste ragioni è benvenuto un film come Das deutsche Volk (t.l.: Il popolo tedesco) di Marcin Wierzchowski. Il regista è di origine polacca (nato a Varsavia nel 1984), emigrato con la famiglia in Germania, diplomato in cinema all’Accademia della Belle Arti di Magonza, e si è affermato come regista e produttore di documentari. Questa pellicola rappresenta un punto d’arrivo importante per la sua carriera e si segnala, oltre che per l’importanza del tema, per molte qualità, a partire dalla scelta del bianco e nero che serve a dare distanza e solennità al racconto.

La prospettiva adottata è quella dei famigliari delle vittime e dei sopravvissuti. Sono loro i protagonisti e attraverso le loro parole e i loro volti, ci vengono presentate le conseguenze a lungo termine per una città che ha vissuto una tragedia come quella. Per quattro anni Wierzchowski ha seguito alcuni dei famigliari documentando il modo in cui hanno provato ad affrontare ed elaborare il lutto, e la lotta che hanno intrapreso per ottenere, se non giustizia, almeno il riconoscimento della piena appartenenza al paese in cui vivono e lavorano da anni e che sentono come loro “casa”. Inutile dire che, al di là delle molte parole di compassione, si sono dovuti continuamente scontrare con una burocrazia fredda e cinica, propria di un sistema impreparato ad affrontare un crimine di quelle proporzioni, che non ha mai saputo dare risposte alle domande legittime che venivano poste. Senza contare la reazione di alcuni mass media che hanno rifiutato la pista razzista etichettando il caso come faide interne alle comunità di migranti. I famigliari accusano le autorità di essere stati informati con molto ritardo e mai in maniera completa sullo stato delle indagini, di avere sequestrato i corpi delle vittime e fatto eseguire l’autopsia senza il loro consenso. La preoccupazione maggiore delle forze dell’ordine sembra sia stata quella di prevenire eventuali reazioni di vendetta da parte dei familiari, un’ipotesi che nessuno di loro in realtà ha mai preso in considerazione.

Le scene più agghiaccianti sono precisamente quelle in cui i famigliari delle vittime incontrano i responsabili politici come l’allora ministro degli Interni dell’Assia Peter Beuth (CDU) o il sindaco di Hanau Claus Kaminsky (SPD), i quali non sono mai capaci di trovare le parole giuste per commentare l’accaduto, di scusarsi per gli errori compiuti dalle forze dell’ordine, per il modo in cui sono stati condotti i primi interrogatori. Sintomatica è la disputa attorno al progetto di erigere un monumento che ricordi i caduti della strage. I famigliari lo vorrebbero su Markplatz, la piazza principale di Hanau, dove sorge un monumento dedicato ai fratelli Grimm, che proprio ad Hanau hanno avuto i natali. La proposta è stata respinta come se quei nove morti fossero qualcosa di estraneo alla storia della città e del popolo tedesco. E come se non bastasse, si è scoperto poco dopo la strage che il commando speciale che ha fatto irruzione nella casa dell’assassino è stato successivamente sciolto, perché una buona metà dei suoi agenti erano attivi in gruppi di chat di estrema destra.

Il documentario di Wierzchowski ha uno svolgimento diacronico dal giorno della strage in poi e riesce a catturare l’attenzione dello spettatore senza alcuna sbavatura retorica. Forse qualche taglio in fase di montaggio avrebbe reso ancor più efficace la fruizione dell’opera. Se proprio si vuole individuare una pecca, questa riguarda la volontà del regista di concentrarsi esclusivamente sull’entourage delle vittime, senza nessuna indagine circa il colpevole, di cui non viene mai neppure detto il nome. Chi era? Chi frequentava? Quali letture faceva? Di che lavoro campava? Domande forse giudicate inutili rispetto allo sforzo di mostrare come i famigliari, nonostante il loro background migratorio, rivendichino continuamente il senso di appartenenza al popolo tedesco. Ma sono domande che viene istintivo porsi per provare a capire quali perverse motivazioni può avere spinto la mente di un ragazzo a compiere quella strage efferata.

Concludiamo questa nota con l’elenco delle vittime della strage di Hanau: Gökhan Gültekin, Sedat Gürbüz, Said Nesar Hashemi, Mercedes Kierpacz, Hamza Kurtović, Vili Viorel Păun, Fatih Saraçoğlu, Ferhat Unvar e Kaloyan Velkov. La madre di uno di loro, Sedat Gürbüz, dice a un certo punto del film, con una smorfia di sofferenza che fa rabbrividire: «Non abbiamo bisogno di ringraziamenti. Abbiamo bisogno che la violenza razzista finisca».


Das deusche Volke (Il popolo tedesco) – Regia e sceneggiatura: Marcin Wierzchowski, fotografia: Marcin Wierzchowski, Peter Peiker; musica: Louisa Beck, Kaan Bulak; montaggio: Stefan Oliveira-Pita; sound design: Matz Müller, Ole Ohlendorf, Paul Rischer, Hendrik Jurich, Paul Ziesche; produzione: milk&water (Francoforte sul Meno) e Strandfilm (Francoforte sul Meno); origine: Germania 2025; durata: 132’.

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