28 anni dopo di Danny Boyle

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Ha ragione Danny Boyle, il regista inglese, oggi 68enne, che fu rivelato da Trainspotting: il suo nuovo 28 anni dopo è un horror post-apocalittico che in realtà parla, neanche troppo sotto metafora, della Brexit e delle sue conseguenze sull’esistenza del Regno Unito. Il film, terzo della serie e secondo diretto da Boyle, è destinato a dare avvio a una nuova trilogia, infatti, è già stato girato 28 anni dopo – Parte 2: Il tempio delle ossa, per la regia di Nia DaCosta, uscita prossimo gennaio 2026.

Sono andato a vedere 28 anni dopo senza ricordare niente del primo, e del resto sono cambiati tutti gli attori e l’epidemia di “rabbia”, che fu provocata a Londra da alcune cavie fuoriuscite da un laboratorio, è ormai un ricordo lontano. Il virus letale, sconfitto nei Paesi europei, ha ridotto la Gran Bretagna a una specie di terra desolata, per quanto verdeggiante, senza auto, benzina, comodità, cellulari, energia elettrica.

Un gruppo di sopravvissuti, orgogliosamente legati ai simboli Old England, ha costruito una specie di forte sulla piccola isola di Lindisfarne collegata alla terraferma da un lungo sentiero coperto per molte ore al giorno dall’alta marea. La comunità è coesa, vive nel culto della regina Elisabetta, di Churchill, dell’Enrico V di Laurence Olivier, dei salmi anglicani e della lotta al nazismo di Hitler.

Ma il dodicenne Spike (Alfie Williams) dev’essere svezzato, istruito al combattimento contro i famelici infetti, così il padre Jamie (Aaron Taylor-Johnson) lo conduce, armati entrambi solo di archi e frecce, dall’altra parte dell’istmo, dove ogni albero nasconde un pericolo. I “lento-bassi” strisciano per terra e fai in tempo a vederli e centrarli in testa, gli “alfa” invece sono nudi, veloci e indemoniati: azzannano e decapitano, strappando via anche un pezzo di colonna vertebrale.

Alfie Williams e Aaron Taylor-Johnson

A suo modo 28 anni dopo è un romanzo di formazione, un po’ come fu, in chiave western, I cowboys di Mark Rydell, all’epoca esecrato sul piano etico, non si capisce bene perché. Padre e figlio s’inoltrano nei boschi sapendo che dovranno molto uccidere per farla franca e tornare infine alla loro “isola sacra” o “miracolosa”. Ma le cose si complicano, anche perché l’amatissima madre del ragazzo, Isla, sta sempre peggio, e solo un misterioso medico rimasto dall’altra parte, il dottor Kelson (Ralph Fiennes), potrebbe forse curarla…

La distribuzione chiede a critici e giornalisti di non rivelare troppi dettagli sulla storia, sicché io mi fermo qui, ma naturalmente Boyle e il suo fedele sceneggiatore Alex Garland allestiscono una storia epica all’insegna dell’avventura: tra dettagli raccapriccianti, teschi da bollire, intrusioni inattese e riflessioni non peregrine sulla vita e la morte (più uno spiritoso omaggio ai “Teletubbies” per bambini degli anni Novanta).

«Ci sono tanti modi per morire, alcuni migliori di altri» sentiamo dire nel corso dei quasi 120 minuti, e certo 28 anni dopo intinge l’avventura del ragazzo dentro una ferocia cruenta legata al filone zombie & dintorni. Però il regista spiega, giustamente, che l’horror «è un genere flessibile, lo puoi tirare dove vuoi, da tutte le parti», sicché anche il virus della rabbia diventa allegoria di una società aggressiva, che tende a sbranare l’avversario, a estrarre il peggio dalle persone. Isolarsi da tutto servirà davvero? E soprattutto: una volta conosciuta un’altra vita, per quanto brutale, che strada prenderà l’ormai cresciuto Spike?

Alla fine, ammetto, mi sono divertito: 1) perché gli attori sono bravi, da Alfie Williams a Jodie Comer, da Aaron Taylor-Johnson a Ralph Fiennes in partecipazione speciale; 2) perché il messaggio “politico” a suo modo arriva a segno senza rovinare lo spettacolone; 3) perché Boyle sa dosare gli ingredienti, con una certa dose di cinico umorismo, ma senza perdere di vista il senso alto della tragedia.

In sala dal 18 giugno 2025.


28 anni dopo (28 Years Later) – Regia: Danny Boyle; sceneggiatura: Alex Garland; fotografia: Anthony Dod Mantle; montaggio: Jon Harris; musica: Hildur Guðnadóttir; scenografia: Carson McColl, Gareth Pugh, Mark Tildesley, Naomi Moore; interpreti: Alfie Williams, Jodie Comer, Aaron Taylor-Johnson, Jack O’Connell, Ralph Fiennes,  Emma Laird, Erin Kellyman, Edvin Ryding, Chi Lewis-Parry, Christopher Fulford; produzione: Danny Boyle, Alex Garland, Andrew Macdonald, Peter Rice, Bernie Bellew per Columbia Pictures, DNA Films, British Film Institute, Decibel Films; origine: Gb/Usa, 2025; durata: 115 minuti; Distribuzione: Eagle Pictures.

 

 

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