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Voto
Nel 1917, durante una visita a Napoli, Jean Cocteau scrisse, in una lettera alla madre, una frase spesso citata, in cui esprimeva il suo fascino per la città e il suo Vulcano: “Tutte le nuvole del mondo vengono dal Vesuvio”. Ora essa è diventata l’incipit poetico con cui Gianfranco Rosi apre il suo ultimo docu-film intitolato Sotto le nuvole.
“Ho girato e vissuto per tre anni – ha dichiarato il regista – all’orizzonte del Vesuvio cercando le tracce della Storia, lo scavo del tempo, ciò che resta della vita di ogni giorno. Raccolgo le storie nelle voci di chi parla, osservo le nuvole, i fumi dei Campi Flegrei”. Insomma, il respiro vitale del Vesuvio che si irradia su un luogo magico, creativo ma anche tragico e problematico con un grande passato alle spalle, qual è l’area della grande Napoli e dei suoi comuni intorno, Pompei, Ercolano, ecc., in cui spesso la terra trema. Tra lo zibaldone e il puzzle, con maestria e stile provetto, Rosi ci narra, dunque, in uno splendido b&n (sua è anche la fotografia) una gran messe di osservazioni filmiche su cui svisa come in una sinfonia atonale. Sostanzialmente il film lavora su un doppio binario che corre parallelo – e cioè: l’approfondimento antropologico di alcuni personaggi ripresi con pazienza e amore, insieme alle tante suggestioni visive, estetiche catturate dal paesaggio, dalle eruzioni, dai monumenti o dalle ville sotto l’acqua.
Così di fronte ai nostri occhi, a partire dal Golfo di Napoli e dal Vesuvio, scorrono, ad inseguirsi e intrecciarsi, ad esempio le fumarole dei Campi Flegrei e le voci di chi chiama i servizi di soccorso, i vigili del fuoco dopo una scossa di terremoto (ma anche solo, giorno dopo giorno, per chiedere che ora è); oppure seguiamo le indagini di un procuratore e delle forze dell’ordine sui tombaroli che hanno depredato in maniera assolutamente sistematica e certosina il sottosuolo del territorio vesuviano; nei depositi del Museo archeologico di Napoli la conservatrice Maria presta le sue attenzioni alle statue dimenticate, cadute nell’oblio; poi ci approcciamo al paziente, certosino lavoro di un maestro, Titti, un cavaliere d’altri tempi, che insegna e trasmette ai suoi giovani allievi l’amore per i libri e per la cultura; vediamo la Circumvesuviana che attraversa il paesaggio o i cavalli da trotto che corrono e si allenano sulla battigia; scopriamo un gruppo di archeologi dell’Università di Tokyo che da più di un ventennio scavano e lavorano, con pazienza e flemma tutta orientale, alla Villa Augustea di Somma Vesuviana mentre a Torre Annunziata, una nave scarica a terra delle montagne di grano proveniente dall’Ucraina in guerra con Aboud, un giovane ufficiale siriano che esprime paura e preoccupazione riguardo al lavoro e alla sua condizione familiare. Non possono mancare i turisti che girano e visitano le rovine di Pompei o i pellegrini devoti che strisciano sul terreno del santuario della Madonna dell’Arco nel comune vesuviano di Sant’Anastasia; poi qualche citazione di film come quella canonica a Viaggio in Italia (1954) di Roberto Rossellini oppure (se non andiamo errati) a Dentro Roma (1976) di Ugo Gregoretti riguardo ai tombaroli (ma non napoletani); e ancora, ecc., ecc.
Gianfranco Rosi, come da suo programma di grande documentarista creativo, vuole, dunque, costruire “una macchina del tempo” con cui fotografare tra passato e presente, le suggestioni varie che ha raccolto, sul territorio, sul mare e sotto il mare, nel lungo ma necessario periodo trascorso a osservare e a distillare il suo oggetto di riflessione. Ne sortisce, allora, un documentario di lunga osservazione per molti tratti bello e seducente che, paradossalmente, potrebbe non finire mai, tanti sono i fili che, come un burattinaio, il regista muove. Quel che ne emerge e lo differenzia dai tantissimi film che sono stati girati o hanno avuto per oggetto Napoli e i suoi dintorni, è un occhio attento, anche solidale ma distaccato, perché libero, da una partecipazione emotiva diretta (non è, a differenza di tanti altri autori, un napoletano, bensì è nato ad Asmara in Eritrea nel 1963 e poi si è formato negli Stati Uniti). In definitiva, allora, le parti più interessanti dell’ultimo lavoro di Rosi ci sembrano proprio, non tanto quelle più estetizzanti in cui ricerca e scova la “bella” inquadratura, la sequenza visibilmente suggestiva, quanto invece quelle dove riesce a cogliere i frammenti o le voci di vita del popolo del Golfo, quelle di spavento e dolore ma anche di curiosità e sorpresa. Lì, a nostro avviso, Sotto le nuvole colpisce nel centro, lasciandoci tante sensazioni dentro. Non sarà forse l’opera più riuscita in una filmografia tra le significative (e premiate) del cinema italiano contemporaneo ma certamente è un film da vedere e apprezzare come di sicuro merita. Il giudizio definitivo, ora, al pubblico di casa nostra.
In Concorso alla Mostra di Venezia 2025 (Premio speciale della Giuria).
In sala dal 18 settembre 2025.
Sotto le nuvole – Regia, sceneggiatura e fotografia: Gianfranco Rosi; montaggio: Fabrizio Federico; musica: Daniel Blumberg; produzione: Gianfranco Rosi, Donatella Palermo per 21uno Film, Stemal Entertainment, Rai Cinema, Arte; origine: Italia, 2025; durata: 114 minuti; distribuzione: 01 Distribution.
