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Torna Anders Thomas Jensen, a cinque anni di distanza dall’ultimo Riders of Justice, e naturalmente torna assieme all’ormai imprescindibile gang di attori fedelissimi che partecipano sempre ai suoi film, a partire dal più celebre Mads Mikkelsen, seguito da Nikolaj Lie Kaas, Lars Brygmann, Nicolas Bro, Bodil Jørgensen, e al quale non possiamo aggiungere, purtroppo, il grande Ole Thestrup, attore originalissimo che avremmo voluto vedere in più film durante la sua carriera e che ricordiamo anche per la serie TV danese Borgen (2010).
Questo The Last Viking, presentato alla mostra Fuori concorso, è un rimescolamento di elementi già noti del cinema dell’autore di Le mele di Adamo, rimodulati e rivisitati, con in più una sottile patina edificante leggermente troppo convenzionale rispetto agli standard a cui ci ha abituato.
Anker (Kaas) e Manfer (Mikkelsen) sono due fratelli. La loro infanzia non è stata facile e ognuno dei due ha dovuto far fronte, reprimere e costringersi a dimenticare alcuni momenti che lentamente riemergono. Manfer presenta una condizione psichiatrica composta da una forte neuro-divergenza, manie di persecuzione e quant’altro. Anker è un criminale che sta per finire in galera, ma non prima di affidare al fratello il compito di nascondere un’enorme quantità di denaro che prevede di recuperare una volta uscito, grazie al suo aiuto.
Ma, una volta uscito, Manfer sarà svanito; e al suo posto Anker troverà John Lennon. Eh sì, il fratello è ora convinto di essere l’icona della controcultura degli anni ’60. A questo punto bisognerà fare riemergere la vecchia personalità del fratello (questo è il dispositivo filmico principale che darà vita alle situazioni grottesche alle quali Jensen ci ha ben abituato) per farsi dire dove sono i soldi, e per far questo anche lo stesso Anker sarà costretto a ricordare e rimestare nella sua infanzia.
Il personaggio di Manfer sembra un mix tra lo Svend di The Green Butchers (2003) ed Elias di Men & Chicken (2015). Jensen ha sempre affidato a Mikkelsen ruoli in cui esalta le doti particolari dell’attore, che altrove non emergono, e Mikkelsen, è evidente, si diverte moltissimo a interpretarli. Definirli emarginati o disagiati non esprime bene la strana forma di ammirazione, quasi del tutto scevra di retorica, che Jensen profonde in questi ritratti. Il “diverso” nel cinema di Jensen non vuole necessariamente essere tollerato, accettato o integrato, cerca piuttosto un rapporto dialettico, vivo con il mondo circostante, talvolta pretendendo – e in questo caso il film lo esprime esplicitamente – di piegare e plasmare la realtà circostante alla sua visione, e del resto perché dovrebbe avere meno diritto di un qualsiasi altro essere umano, inserito, influente e capace effettivamente di riuscire in questa impresa?

A completare il cast abbiamo un malato psichiatrico che si spaccia per psichiatra (Lars Brygmann), uno psicopatico che si comporta in maniera curiosa ed eccentrica ma non per questo risulta meno spaventoso (Nicolas Bro); sa dei soldi e minaccia di ammazzare tutti quanti se non li ottiene. Infine, la sorella dei due protagonisti (Bodil Jørgensen), che fa un po’ pena perché subisce incolpevole le conseguenze di ciò che sta accadendo.
Se si guarda alla filmografia di Jensen, sin dal suo esordio con Flickering Lights, è stato un continuo crescendo di originalità di approccio e di anticonformismo nel saper tratteggiare soggetti con grossi problemi interpersonali, figure ai margini che, pur nella loro condizione inevitabile, si dimostrano sempre straordinariamente volitive. C’è sempre una componente irreale e favolistica, ma posta comunque in maniera dissonante. In questo caso, ci sembra sia stato fatto un piccolo passo indietro rispetto al precedente Riders of Justice: il messaggio di fondo risulta leggermente troppo marcato, esplicito e un filo banalizzato. I video di animazione introduttivi e finali tendono a reiterare e a confermare questa tesi. Diciamo che l’intento pedagogico, questa volta, ha leggermente sopravanzato l’economia del racconto, disinnescandone la portata. Sulla regia spendiamo poche parole: lo stile e il ritmo sono di ottima fattura, solidi ed efficaci. Le trovate, in particolare quella principale di radunare un manipolo di altri invasati convinti di essere membri dei Beatles per poter mettere in scena uno spettacolo assieme a Manfer/John, sono divertenti e farsesche, anche se leggermente sopra le righe.
Infine, gli attori, di Mads Mikkelsen abbiamo già detto, Nikolaj Lie Kaas è, teoricamente, il protagonista, nonostante ciò il suo è un ruolo un poco sottotono e privo di verve rispetto al colorato carrozzone di casi umani che lo circonda. Suo è il punto di vista; ma il suo personaggio è incaricato prevalentemente di provocare e reagire ai comportamenti di Manfer/Mikkelsen. Bodil Jørgensen brava come sempre, Nicolas Bro e Lars Brygmann demenziali e perfettamente in parte. Uno dei film che, sinora, ha maggiormente riscosso successo alla Mostra.
The Last Viking (Den sidste viking) – Regia e sceneggiatura: Anders Thomas Jensen; fotografia: Sebastian Blenkov; montaggio: Anders Albjerg Kristensen, Nicolaj Monberg; musiche: Jeppe Kaas; scenografia: Nikolaj Danielsen; interpreti: Nikolaj Lie Kaas, Mads Mikkelsen, Sofie Gråbøl, Lars Ranthe, Kardo Razzazi, Bodil Jørgensen, Lars Brygmann, Nicolas Bro; produzione: Zentropa, Film i Väst, TV2 Denmark; origine: Danimarca/Svezia, 2025; durata: 116 minuti; distribuzione: Plaion Pictures.
