La camera di consiglio di Fiorella Infascelli

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Presentato in anteprima il mese scorso alla Festa di Roma 2025, La camera di consiglio di Fiorella Infascelli è un film di finzione sui 36 giorni di “isolamento” che hanno permesso agli 8 giurati della corte del Tribunale di Palermo di giudicare i 470 circa imputati del Maxiprocesso accusati per crimini di mafia. Quel processo, oltre a fare storia non solo da punto di vista del diritto penale ma anche da quello civile e politico del nostro paese, fu forse il primo grande evento mediatico (di rilevanza internazionale) giudiziario che fu filmato dall’inizio alla fine e di cui sono ancora oggi disponibili (anche a libero accesso sulle varie piattaforme della rete) tutte le immagini televisive, compresi gli interrogatori e le deposizioni, le arringhe e i confronti, sino alla lettura della sentenza. Tutta questa “mole” di sequenze video, di immagini in movimento delle televisioni di tutto il mondo, che mostrano gli eventi processuali nell’aula bunker di Palermo dove si svolsero gli atti giudiziari, ha “formato” per la prima volta sguardi e consapevolezze relativi all’immaginario collettivo del popolo italiano (e non solo) sulla natura dell’associazione a delinquere di stampo mafioso denominata “Cosa Nostra”. Costruire e offrire nuove immagini, anche se di finzione, sembra essere sempre una prova ardua in occasioni come queste. Perché c’è come un “già visto” pubblico che rischia di ri-presentarsi in modo invadente. E di conseguenza uno degli scogli da superare forse sta proprio nel lavorare sì intorno a un “già visto” che però deve diventare un “già (mai) visto”. Tutto questo, ad esempio, è stato di recente affrontato (tra l’altro, riguardo in parte il medesimo tema) da Marco Bellocchio quando nel 2019 realizzò Il traditore (che narra le vicende umane del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, interpretato da Pierfrancesco Favino, dove sono presenti, tra l’altro, scene di finzione legate alle sue deposizioni rese davanti alla corte durante il Maxiprocesso).

Fiorella Infascelli felicemente compie l’impresa e ci dona un film che con delicatezza e sensibilità prova a “farci vedere” come quei 36 giorni sono scorsi, ad addentrarsi con la sua macchina da presa nell’appartamento dove i giurati soggiornarono per scrivere la sentenza. Infascelli sceglie così di “raccontare” un pezzo di quella storia di cui non si posseggono ovviamente immagini. Infatti, non è un lavoro sulla mafia, ma sui suoi effetti e intorno ai suoi condizionamenti possibili. E, quindi, nonostante la cornice come l’atmosfera di quell’avvenimento siano in qualche modo chiare a noi spettatori (almeno in termini di sfondo), è come se, grazie al film, a un tratto esse svanissero per proiettarci in un’altra dimensione rispetto al “già visto”, ovvero nei possibili meandri sconosciuti delle coscienze come dei pensieri degli otto giurati protagonisti di quella pagina giudiziaria (e non solo) fuori dall’ordinario (da un certo punto di vista). E qui il cinema può vincere e convincere. Quello di Infascelli ci riesce molto bene, a parere di chi scrive. Al di là delle (non molte) riprese televisive dell’epoca che aprono il film, La camera di consiglio ci scaraventa nel “chiuso”, spaziale e temporale, del compito del giudicare. Certo gli indizi non sono prove, e per infliggere l’ergastolo anche a un imputato per delitti di mafia non è proprio “una passeggiata”. Come essere imparziali, distaccati emotivamente verso la ricerca di ciò che è giusto in termini oggettivi (“La legge è uguale per tutti”, ma A ciascuno il suo)? Come non farsi trascinare da sentimenti quali la paura o l’odio, da storie così disumane come quelle tipiche della mafia? Come riuscire a non perdersi, a tenere salda la mente di fronte alla negazione della vita, di fronte ai fatti di quella “civiltà contraria, della morte” (come Papa Wojtyła, nel maggio 1993 ad Agrigento, definì “Cosa nostra”)?

E così che Infascelli mette a nudo le difficoltà, le cadute, le perplessità come anche le risalite, le illuminazioni, le integrità dei protagonisti in un film che da un lato si presenta sì claustrofobico ma allo stesso tempo anche celebrante la forza stessa del compito civile che umanamente attraversa il senso e il significato della giustizia terrena, sin dalla tragedia antica. Bellissima l’idea del gatto nero come figura che rappresenta quasi l’enigma del giudicare stesso (almeno questa è la sensazione percepita da chi scrive). “Ho girato tutto dentro l’appartamento. Nessun repertorio. Il bianco e nero entra come stacco e come sogno, per farci penetrare nella paura profonda dei personaggi, poi si ritorna al colore. È un racconto sulla giustizia, sul confine di ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’.” Così afferma Fiorella Infascelli, e noi siamo pienamente d’accordo con lei. Da vedere necessariamente, e non solo nelle scuole.

In Anteprima alla Festa del cinema di Roma 2025 (Freestyle)
In sala dal 20 novembre 2025.


La camera di consiglio – Regia: Fiorella Infascelli; sceneggiatura: Fiorella Infascelli, Mimmo Rafele, con la collaborazione di Francesco La Licata e con la consulenza di Pietro Grasso (giudice a latere del Maxiprocesso); fotografia: Fabio Zamarion; montaggio: Carlo Poggioli; interpreti: Sergio Rubini (Presidente della giuria), Massimo Popolizio (giudice a latere), Roberta Rigano (giudice popolare), Claudio Bigagli (giudice popolare), Stefania Blandeburgo (giudice popolare), Anna Della Rosa (giudice popolare), Rosario Lisma (giudice popolare), Betti Pedrazzi (giudice popolare); produzione: ArmosiA, Master Five Cinematografica e Rai Cinema, con il contributo del Ministero della Cultura; origine: Italia, 2025; durata: 107 minuti; distribuzione: Notorius Pictures.

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