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Fin dal 1952 i Golden Globes raddoppiano i premi (degli Oscar) perché distinguono fra due macro-categorie, ossia da un lato “Drama” e dall’altro “Musical or Comedy”. All’epoca il musical era uno dei generi forti della Hollywood classica, adesso se ne producono certamente meno, ma la qualità è sempre piuttosto alta. Dall’inizio del millennio sono stati diversi i musical ad aver vinto nella categoria (da Moulin Rouge a Chicago, da Dreamgirls a Les Misérables), l’ultimo ad aver vinto è stato La La Land nel 2016. Nelle ultime quattro edizioni invece è sempre toccato a commedie: Lady Bird nel 2017, Green Book nel 2018, Once Upon a Time in Hollywood nel 2019 e Borat – Seguito di Film cinema l’anno scorso. Quest’anno ci sono ben tre musical fra i cinque nominati: il remake di West Side Story (https://close-up.info/5964-2/) diretto da Steven Spielberg, Cyrano (https://close-up.info/cyrano/) di Joe Wright, due film di cui si è già avuto modo di parlare in queste colonne.
Il terzo musical nominato s’intitola tick, tick…BOOM e non solo è un musical, ma è un meta-musical, ossia la trasposizione cinematografica di un musical che racconta della nascita e dello scarso successo di un musical. Al contempo il film è, si potrebbe dire, un biopic in forma di musical, non soltanto, si badi bene, perché il musical originario presenta una marcata valenza autobiografica, ma perché – soprattutto – il film fuoriesce dall’ambito tematico del musical originario, ampliandolo e venendo a parlare del destino – tragico! – del suo autore, Jonathan Larson, alludendo dunque a eventi successivi alla creazione del musical, che risale ai primi anni ’90, ma che uscirà solo nel 2001, postumo.
Infatti nel 1996, alla sola età di 36 anni, Larson, ebreo newyorkese, forse il più promettente autore di musical degli anni ’90, muore in seguito a un improvviso aneurisma cerebrale, altrimenti detto sindrome di Marfan. Agli esperti del genere non si deve raccontare chi fosse Larson, pur essendo riuscito nel breve tempo disponibile a comporne solo un paio, il più celebre dei quali resta quello intitolato Rent che Larson non riuscì a vedere perché era morto poche settimane prima che lo spettacolo arrivasse sul palcoscenico. Ma i premi che quel musical riuscì a inanellare non si contano, dai classici Tony Awards al Premio Pulitzer, tutti rigorosamente postumi. Né si contano le repliche, basti dire che, a oggi, si tratta dell’undicesimo running show di sempre, dodici anni consecutivi al Nederlander Theatre della 41esima strada. Perché, al netto del destino tragico, questo autore è stato così importante? Perché nei pochi testi che ci ha lasciato è riuscito a raccontare come nessun altro la New York bohémien dei primi anni ’90, fatta di una centrale ridefinizione del rapporto fra i generi, fra le identità sessuali ed etniche, il tutto sovrastato dal grande tema, dal grande spettro degli anni ’90, ovvero l’AIDS.
Anche Rent (https://www.closeup-archivio.it/rent) aveva ottenuto una – peraltro non memorabile – trasposizione cinematografica con la regia di Chris Columbus nel 2005. Differente il caso del presente film, decisamente notevole. Pur essendo all’esordio, il regista è un personaggio celeberrimo, celeberrimo nel mondo del musical, ovvero Lin Manuel Miranda (1980), l’autore, di In The Heights (anch’esso trasposto quest’anno al cinema) e soprattutto di Hamilton (https://close-up.info/hamilton/), di cui si è avuto modo di parlare alcuni mesi fa, a sua volta candidato ai Golden Globe nella medesima categoria. In quell’occasione Miranda era non solo l’autore ma anche il protagonista eponimo.
Siamo in presenza di un prodotto di grandissima qualità artistica, forse qua e là un po’ ripetitivo, ottima musica, bella sceneggiatura, bravissimi attori e cantanti. La storia, come si diceva, di matrice autobiografica racconta le vicissitudini di un musicista talentuoso e squattrinato che, mentre guadagna qualche soldo in un diner, cerca di piazzare a Broadway il proprio show senza riuscirci, malgrado il forte sostegno di una figura di grande rilievo nel settore, ossia quello Stephen Sondheim, tornato agli onori della cronaca negli ultimi tempi rispettivamente per essere deceduto novantunenne neanche un mese fa oltreché come autore delle parole di West Side Story, oggetto del remake di Spielberg. Il film (come anche il musical) si regge su un continuo slittamento fra le prove del musical che poi nessun impresario teatrale deciderà di acquisire e le riconsiderazioni ex post del musicista-autore sulle ragioni del fallimento in forma di one-man-show, con le canzoni equamente suddivise fra il musical di primo e il musical di secondo livello. A questo doppio canale viene altresì ad aggiungersi la cornice che ci rivela, come detto, il tragico destino di Larson. Ottima, come detto, la sceneggiatura, ottimi gli attori-cantanti, fra cui spicca l’eccellente Andrew Garfield che, secondo me, ha tutte le carte in regola per prendere l’Oscar come miglior interprete maschile (dobbiamo ancora vedere degli attori candidati come migliori attori in film drammatici), ma Garfield è davvero bravissimo. Ottime le canzoni, ottima l’ambientazione newyorkese anni ’90 (cellulari e Mac della prima ora, vestiario, tutto).
Chi scrive, nel 1990 aveva trent’anni proprio come il protagonista (la prima canzone verte proprio sul compiere trent’anni nel 1990, 30/90 è il titolo della splendida prima canzone) è, anche per questa ragione autobiografica, ha apprezzato il film di Miranda.
Dal 19 novembre il film è visibile su Netflix, negli USA ha avuto solo anche una breve circolazione in sala, in Italia no. Un vero peccato, perché di questo film notevole si è parlato troppo poco. Vedi alla voce: svantaggi di Netflix.
Cast & Credits
tick, tick…BOOM. Regia: Lin-Manuel Miranda; soggetto: dal musical di Jonathan Larson; sceneggiatura: Steven Levenson; fotografia: Alice Brooks; montaggio: Andrew Weisblum; interpreti: Andrew Garfield, Vanessa Hudgens, Alexandra Shipp, Robin de Jesús; produzione: Imagine Erntertainment, 5000 Broadway Productions; origine: 2021 USA; durata: 115′; distribuzione: Netflix
