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Voto
Tra vita e morte sussiste di per sé una linea di demarcazione che diventa solco e acquisisce profondità mano a mano che lo si indaga. Con la profondità va a braccetto la complessità. Il miglior modo per risolvere l’impasse è inventarsi un personaggio che possa sostenerne il peso, ed è questo il caso. È andato tutto bene è un film che vola con ali di colomba sopra l’abisso, riuscendo a indagare le pieghe della questione attraverso la sinuosità raschiante, tratto tipico del suo regista, François Ozon.

Emmanuèle Bernheim (Sophie Marceau) è seduta davanti al suo pc quando una chiamata la avvisa che Andrè (André Dussollier), il padre, ha avuto in ictus. D’un tratto la sua vita è capovolta. L’uomo, fino ad allora per lei simbolo di vitalità, soprattutto per i suoi difetti, primo fra tutti l’egoismo, mescolato a uno spiccato senso estetico, è giunto a un passo dalla morte. Viso piagato, palpebra debole, labbro pendente e paralizzato, dalla bocca malconcia esce un solo desiderio, rivolto a Emmanuèle: «voglio che mi aiuti a farla finita».
Alla figlia tocca l’ingrato compito di informarsi a riguardo nonché di dirlo alla sorella, Pascale (Géraldine Pailhas), ricordandole così il suo ruolo di seconda nelle preferenze del genitore. L’iter non è facile, agli ostacoli personali, speranza di un ripensamento del padre, si sommano quelli legali: solo l’incontro con una signora svizzera (Hanna Schygulla), candida quanto sfuggente, le permetterà di imparare a conoscere quel mondo, fuori dalla legge quanto dal senso comune. Un passo dopo l’altro, tra amori omosessuali (Grégory Gadebois) e mogli scultrici in profonda depressione (Charlotte Rampling), la guarigione di André prosegue: il corpo ritorna sui propri passi, le decisioni prese da chi quel corpo lo controlla, e lo vorrebbe controllare di nuovo appieno, invece, a quanto pare, no. Il finale ripercorrerà la cadenza delle note di Brahms, quell’intimismo elegiaco capace di coniugare la dignità dell’uomo alla cultura del bello, senza volume salire.
Ennesimo film di François Ozon, tratto dal libro omonimo e autobiografico della sceneggiatrice Emmanuèle Bernheim (morta nel 2017), il prolifico regista prosegue l’analisi di quell’incontro tra persona e società che contiene al suo interno tante aperture quanto vicoli ciechi, strettoie nelle quali il protagonista, o i personaggi che ne fanno le veci, devono arrivare a strisciare per mantenere la propria identità e connotare ulteriormente la figura dell’umano. Ozon lo fa alla sua maniera, partendo dal quotidiano e dall’imprevisto che quel quotidiano lo interrompe, poi vertendo verso l’incontro-scontro dei legami familiari dove l’affetto non è dispensato a piene mani verso i cari ma incanalato per la sopravvivenza del singolo stesso. C’è insomma tanto egoismo, ma l’egoismo giustificato dalla cura della propria dignità.
Lo sguardo del regista, insomma, è scientifico, la sua è l’ennesima autopsia sociale e perciò qualsivoglia caduta nel pietismo è accuratamente evitata per cercare di non sporcare la vicenda, quando fa la sua comparsa, la pietà, lo è soltanto per giustificare la decisione del protagonista («Non hai paura di morire? Assolutamente no»). André Dussolier dà splendidamente vita a un personaggio spigoloso nel suo egocentrismo venato di umore, malizia e persuasione, e Sophie Marceau ne completa il duo dando vita a una coppia che vive il contrasto sfidando il rapporto genitore-figlio e avvicinandolo a quello amicale («Mi sarebbe piaciuto averlo come amico»). Ne fuoriesce una coppia viva, l’uno a conoscere le debolezze e le virtù dell’altra, acuendo il conflitto con le figure secondarie, sorella e amante del padre, e quelle sociali che frappongono ostacoli alla realizzazione dell’obbiettivo.
È andato tutto bene è una pellicola credibile e acuta, fedele al credo registico di Ozon e quindi non scontata, cruda, che sa riconoscere l’impaccio della quotidianità. Affronta un tema, quello appunto dell’eutanasia, che è scomodo quanto profondo, quindi culla di riflessioni che possono diventare pantani se non ci fossero grandi interpretazioni e un sottile umorismo a salvarne le varie situazioni. Soprattutto quelle a sfondo sociale. Un esempio? Breve riflessione di André: «Mi chiedo come facciamo i poveri» e la risposta: «Aspettano di morire». Eh già, pure scegliere di morire è cosa da ricchi.
Dal 13 gennaio in sala
È andato tutto bene – regia: François Ozon; sceneggiatura: François Ozon; fotografia: Hichame Alaouie; scenografia: Emmanuelle Duplay; costumi: Ursula Paredes; montaggio: Laure Gardette; suono: Nicolas Cantin; trucco: Natali Tabareau-Vieuille; interpreti: Sophie Marceau, André Dussolier, Géraldine Pailhas, Charlotte Rampling, éric Caravaca, Hanna Schygulla, Grégory Gadebois, Jacques Nolot, Judith Magre, Daniel Mesguich, Nathalie Richard; produzione: Mandarin Production, Foz; origine: Francia, 2021; durata: 113’; distribuzione: Academy Two.
