Il male non esiste di Mohammad Rasoulof

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Il concorso della Berlinale 2020 si era concluso con il botto, ed infatti l’Orso d’Oro era andato al film che lo chiudeva e che portava il titolo internazionale There is no evil diretto dal regista iraniano Mohammad Rasoulof, giunto al settimo lungometraggio nell’arco di una ventina d’anni. Adesso Il male non esiste finalmente esce anche in Italia ed è un vero gioiello da non perdere.

Il film è diviso in un prologo e tre episodi. Il prologo descrive la giornata tipo di una perfetta famiglia borghese, con quello stile meravigliosamente realistico ma mai banale che contraddistingue alla stregua di un patrimonio genetico, intergenerazionale, la quasi totalità del cinema iraniano: il padre Heshmat esce dal lavoro, dopo aver caricato in macchina e poi scaricato un sacco contenente la razione di riso a lui spettante, torna a casa, si cambia d’abito, libera il gattino dei vicini che si è incastrato accanto alla caldaia condominiale al piano interrato, va a prelevare la moglie insegnante, va a ritirare lo stipendio in banca, ritira da scuola anche la figlia, va insieme a loro a fare la spesona settimanale al supermercato, a trovare la mamma/nonna malata, amorevolmente accudendola, va a mangiare la pizza con moglie e figlia. Poi, unico segnale disturbante, prende delle pastiglie e finisce a letto addormentandosi all’istante. La sveglia, del resto, sarà alle 3 del mattino. La giornata ricomincia. Doccia, neanche il tempo di far colazione, prende la macchina, Teheran piovosa, uggiosa, si apre un cancello automatico, s’intuisce che Heshmat lavora in un carcere. Inizia il turno di lavoro, si prepara finalmente la colazione, ma la colazione deve, seppur brevemente attendere, perché si accendono delle spie rosse che poi diventano verdi. Heshmat deve solo premere un bottone. La macchina da presa inquadra piedi ciondolanti. E così veniamo a sapere che, con la più grande nonchalance, Heshmat di mestiere fa il boia. Heshmat svolge con compunzione e senso del dovere il proprio mestiere, Heshmat obbedisce. E sulla dicotomia obbedienza/disobbedienza vertono i tre episodi successivi, l’ultimo dei quali riguarda – a occhio e croce una ventina d’anni dopo – lo stesso personaggio del primo episodio, o comunque un personaggio che ha compiuto un gesto analogo a quello compiuto vent’anni prima, nei credits, in realtà, i nomi dei personaggi sono diversi.

Nel primo episodio (Lei disse: “Ce la farai”) il protagonista Pouya, un soldato di leva, addetto materialmente alla squadra che si occupa di esecuzioni capitali e incaricato di togliere lo sgabello da sotto i piedi ai condannati all’impiccagione, si ribella e rifiuta di compiere il gesto, rischiando la pelle, ma alla fine ottenendo il risultato auspicato di non macchiarsi di quel delitto e quindi fuggendo con la propria ragazza che l’aspetta fuori del medesimo carcere che avevamo visto nel prologo (era stata forse lei a pronunciare le parole di cui al titolo?). I due felici si allontanano accompagnati dalle note di Bella Ciao cantata da Milva, canzone di opposizione in tutto il Medio Oriente.

Nel secondo episodio, il più drammatico e forse il più bello (Compleanno), il protagonista, Javad, anch’egli soldato di leva, ha compiuto la scelta opposta, quell’ordine l’ha eseguito e per premio ha ricevuto una licenza nel corso della quale va a trovare la sua ragazza che con tutta la famiglia vive in una casa di montagna, in atteggiamento di aperta resilienza al potere, peccato che la festa di compleanno – che avrebbe dovuto coincidere con l’ufficializzazione della proposta di matrimonio – si trasformerà in qualcosa di profondamente altro (e che non riveleremo), provocando una serie di reazioni a catena e di shock sia in lui che nella fidanzata Nana. Anche in questo episodio non un dettaglio fuori posto, non una parola in più.

Il terzo e ultimo episodio (Baciami), a cui invece un taglietto di cinque-dieci minuti non sarebbe guastato, è anch’esso ambientato in una zona semi-desertica, dove vive una coppia isolata dal mondo, senza telefono e senza internet: lui fa il medico e l’apicultore insieme alla sua (nuova) compagna di qualche anno più giovane. Scopriremo che non ha molto tempo davanti a sé perché presenta tutti i sintomi di un tumore al polmone. L’episodio è incentrato sulla visita della nipote proveniente dalla Germania. Fin dall’inizio – in mezzo alle molte telefonate che la ragazza fa al padre in Germania e al suo stupore rispetto a un mondo che fa fatica a comprendere – capiamo che c’è una rivelazione importante che ci attende, che la ragazza è stata convocata appositamente in Iran proprio per venire a sapere qualcosa di cui era all’oscuro. Lo spettatore intuisce abbastanza presto che tipo di rivelazione possa essere e intuisce anche quale sarà la reazione della ragazza, interpretata dalla figlia del regista, essa stessa cresciuta in Germania (ad Amburgo, il film è stato anche cofinanziato da film commission tedesche) e che in questo film negozia, almeno in parte, le vicende famigliari. E anche qui si parla di obbedienza/disobbedienza alla legge: legge morale vs legge dello Stato, trascendendo il caso specifico iraniano e assurgendo a questioni di valenza transnazionale e sovratemporale.

In sala dal 10 marzo


Il male non esiste (Sheytan vojud nadarad) – Regia: Mohammad Rasoulof; sceneggiatura: Mohammad Rasoulof; fotografia: Ashkan Ashkani; montaggio: Mohammadreza Muini, Meysam Muini; interpreti: Ehsan Mirhosseini (Heshmat), Shaghayegh Shourian (Razieh ), Kaveh Ahangar (Pouya), Mahtab Servati (Nana), Mohammad Valizadegan (Javad), Mohammad Seddighimehr (Bahram), Baran Rasoulof (Darya); produzione: Cosmopol Film, Europa Media Nest, Filmiran; origine: Iran-Germania-Repubblica Ceca, 2020; durata: 150’; distribuzione: Satine Film.

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