Quando tu sei vicino a me di Laura Viezzoli

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A child is waiting, un bambino sta aspettando, è il titolo del secondo film (in italiano, più prosaicamente e piattamente, Gli esclusi) di John Cassavetes che, dopo essersi imposto con un esordio sorprendente per libertà  estetica, narrativa e produttiva come Ombre (1960), si confrontava con il più complesso e organizzato apparato degli studios, seppur di sensibilità  più autoriale e socialmente impegnata (la United Artist nella persona dell’ingombrante regista-produttore Stanley Kramer): un incontro faticoso, terminato esasperatamente con l’esautorazione del giovane Cassavetes dal director’s cut (curato da Kramer) e il  suo conseguente disconoscimento della paternità dell’opera. Eppure, nonostante le sue fratture interne dal punto di vista della struttura del racconto, quel film rimane uno dei più intensi e audaci ad aver raccontato da vicino, vicinissimo la realtà di persone, nello specifico bambini, affetti da disabilità mentale e la relazione con chi è chiamato a prendersi cura di loro all’interno del circoscritto spazio di un istituto specializzato (in quel caso il confronto problematico era tra l’atteggiamento pietoso e in parte pietistico dell’insegnante di musica e quello rigoroso e più pragmatico dello psichiatra).

Quando tu sei vicino a me, il documentario che Laura Viezzoli ha girato all’interno della comunità di persone sordocieche ospitate dalla Lega del Filo d’oro di Ancona e che verrà presentato venerdì 27 maggio al cinema Apollo 11 a Roma , riallaccia un legame  di intensità con l’intima natura  di spudorata tenerezza ed essenziale, dunque potentissima, emozione che , in nuce e nelle intenzioni di Cassavetes, possedeva anche A child is waiting prima del suo rimaneggiamento in chiave melodrammatica: libero da ogni vincolo,  ricatto o imposizione nella fase di produzione e realizzazione, lo sguardo della regista si è potuto altresì aprire alle storie non solo di bambini, ma in questo caso anche di uomini e donne adulti, portatori quindi di tutto il peso di una convivenza di lunga durata con una condizione di privazione, che non riguarda solo l’aspetto sensoriale in sé ma anche quello emotivo, cognitivo , psicologico; qualcosa di inimmaginabile, perché alla base nega la possibilità di un immaginario o, in chi ne aveva avuto un’intuizione e una necessità (molti, a causa di patologie degenerative, hanno perso gradualmente vista e udito) genera una frattura, un oblio, una rimozione, il corto circuito nell’elaborazione di un esterno giorno che si fa spazio interiore di conoscenza e rivelazione di sé . Paola, Ernesta, Milena, Angelo, Fabio, alcuni degli ospiti della comunità con cui Viezzoli ha stabilito un contatto ,sanno, o vengono aiutati a comprendere dagli psicologi e dagli operatori che li accompagnano attraverso la forza del suono e del movimento, che questo percorso di ricostruzione di senso e identità ha a che fare con la materia, la praticità, il corpo: Col corpo capisco era anche il titolo del dittico di racconti in cui lo scrittore israeliano David Grossman ritrovava nelle pulsioni, nei desideri e negli istinti (in quel caso di personaggi disconnessi per motivi nevrotici ) il punto di partenza per il processo di ricomposizione di una coscienza e di una memoria ma, facendo le dovute distinzioni nella specificità e unicità del contesto, la riconducibilità della dimensione dei sensi ad un’esperienza non solo temporanea e non scollegata da un significato più profondo e continuativo della propria vita, sembra essere anche la base del lavoro della comunità terapeutica che racconta il film.

Evitando di scadere  nel didascalismo esplicativo appartenente alla matrice più corriva e grezza del documentario, con un’osservazione rigorosa e partecipata al tempo stesso, la regista penetra, senza reticenze ma con pudore,  la complessità fuori dal comune e al tempo stesso la semplicità quotidianità  di un simile processo: l’immagine del calendario della settimana, tutto costruito da bottoni e oggetti tridimensionali,  attraverso cui Ernesta può scandire ogni azione, gesto e pensiero, collegandolo al bisogno-piacere primario del cibo (e chiunque abbia transitato in una struttura socio-assistenziale conosce la portata simbolica di un caffè o di un cappuccino) permette, anche letteralmente, di toccare la concretezza aspramente realista e poeticamente evocativa, di quel vivere.

In un tono più piccolo e affettuoso, c’è il riverbero dell’ epica esistenzialista e visionaria del mistero herzoghiano ( Nel paese del silenzio e dell’oscurità, anch’esso su una comunità di sordociechi, che l’autore di Aguirre realizzò neanche trentenne nel 1971);  ma c’è anche la volontà, step by step, piano sequenza dopo piano sequenza, di comunicare una metodologia di approccio e di insegnamento e, ancora di più, una mentalità aperta a possibili spazi di emancipazione e autonomia in conflitto con una prescritta e oppressiva no confort zone, come ci era stato raccontato mirabilmente dal corpo a corpo tra Hellen Keller (nata sorda e cieca) e Annie Sullivan (la sua istitutrice)  in Anna dei miracoli di Arthur Penn ( in inglese, più significativamente, The miracle worker, ovvero lavoratrice del miracolo, un afflato spirituale e materialista). Lo stesso titolo, Quando tu sei vicino a me, è ispirato alla canzone di Gino Paoli, Il cielo in una stanza, ma non ne riprende il main title che pur rimanda all’aspetto immaginifico di qualcuno a cui è negato un punto di vista e lo deve creare; c’è, sempre e comunque, la relazione, quel quando tu del ritornello rafforzativo di un bisogno di maggiore calore e vicinanza esplicitato eloquentemente da una delle intervistate, Paola, che dice anche, con la disarmante intelligenza del cuore che possiede, come questa fame sempre più grande d’amore è rivolta in primis verso i nostri genitori, perché rimaniamo fondamentalmente sempre figli.

E sempre Paola parla della suggestione di un campo di girasoli che si aprono di giorno e si chiudono di notte, o della pienezza del suono di un nome pronunciato dalla propria bocca, una sensazione di rotondità e di fisicità che apre un altro ricordo, un’altra connessione sentimental/cinefila: nello struggente Dietro la maschera di Peter Bogdanovich Ricky, ragazzo deformato da una rara malattia nelle fattezze del volto ma con una forma molto precisa del proprio sentire, si innamorava di una ragazza cieca dalla nascita e le insegnava il significato dei colori facendole sentire con le mani le diverse consistenze e temperature delle cose.

Ecco, Laura Viezzoli dedica invece alla sua Paola (con cui non nasconde di aver stabilito un’intesa speciale, dialogando direttamente con lei ) il totale e poi il dettaglio di un (contro) campo di girasoli e restituisce alle immagini non l’orizzontalità di un’estetizzante fascinazione, ma l’estensione di una possibilità e di un sentimento.

In sala, in programmazione il 27 maggio all’Apollo 11 di Roma


Quando tu sei vicino a me  – regia, sceneggiatura e  fotografia: Laura Viezzoli; montaggio: Enrica Gatto; interpreti: Santo Baldassarini, Fabio Ischiboni, Youssef Khattabi, Angelo Migliore, Ernesta Portento, Paola Rupilli, Milena Saccia, Angelo Verdinelli; origine: Italia, 2021; produzione: Ladoc con Rai Cinema.

 

 

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