È uno dei film di cui più si parlerà quello presentato in Panorama Dokumente e intitolato And, Towards Happy Alleys della regista indiana Sremoyee Singh, capace, al pari del documentario di Sean Penn sull’Ucraina, di intercettare alcune delle più drammatiche emergenze del presente, ovvero la situazione politica, in particolare la situazione delle donne in Iran, al punto che la regista si è trovata costretta, nei titoli di coda, ad aggiungere alcune precisazioni circa la cronologia del film, iniziato ben prima (anni prima) che la situazione da diversi punti di vista degenerasse. Prova ne sia che uno dei protagonisti/testimoni più eminenti del film è forse il regista iraniano più famoso ovvero Jafar Panahi che, come molti sanno, dal luglio del 2022 ai primi di febbraio del 2023 è stato prigioniero del tremendo carcere di Evin, è entrato in sciopero della fame, e solo grazie alle pressioni internazionali è stato scarcerato su cauzione un paio di settimane fa. Panahi, in linea con uno dei suoi film più famosi, premiato a Berlino con l’Orso d’Oro ossia Taxi Teheran, si presta a fare da tassista/cicerone alla regista indiana (dopo due anni che non si era fatto vedere pubblicamente, dunque grande onore per la giovane collega!) portandola in giro per la capitale, raccontando molti episodi del suo passato (a cominciare dalla crisi nera in cui è sprofondato quando gli è stato inflitto il divieto di girare film, un altro film “berlinese” ovvero Closed Curtain del 2013 lo aveva lasciato intuire nella scena in cui il protagonista si avvia sconsolato incontro alle onde del mare) e portandola a conoscere le sorelline che avevano interpretato Il palloncino bianco, il suo primo lungometraggio che lo lanciò nell’empireo del cinema internazionale. Quelle bambine (Aida e Mina Mohammadkhani) adesso sono delle trentacinquenni simpaticissime che nutrono un’ammirazione sconfinata per il Maestro.
Oltre a Panahi e se possibile ancor più di Panahi c’è un’altra musa ispiratrice nel film di Singh ed è la poetessa e documentarista femminista e iconoclasta Forough Farrokhzad, nata nel 1934 e morta a soli trentadue anni per un incidente d’auto. Si vedono sequenze del suo unico documentario, si recitano suoi versi (tradotti in tutte lingue, anche in italiano), il titolo del film è un verso della poetessa e si va (e si torna) alla sua tomba, autentico luogo di culto delle donne (ma non solo) iraniane che vedono in lei un esempio di antagonismo che in quegli anni, i vituperati anni dello Scià, era ancora in qualche misura consentito. Farrokhzad, grande viaggiatrice e cosmopolita, è un esempio per le donne iraniane di oggi. Come lo è, un’altra donna famosa intervistata che ha, a sua volta, passato diversi guai con la giustizia, ovvero Nasrin Satoudeh, l’avvocata e attivista che difende ormai da un paio di decenni i diritti umani in Iran. Se Panahi ai primi di febbraio è uscito, Satoudeh, malgrado un sollevamento analogo da parte dell’opinione pubblica occidentale, è dopo qualche breve rilascio a oggi ancora in carcere.
Ma l’interesse della regista indiana (che in Iran c’è stata numerose volte e il film costituisce un concentrato delle sue visite spalmato su molteplici anni) va anche alle persone meno famose ed è iscritto in un più ampio interesse socio-estetico-antropologico riferito alle donne e al loro rapporto con la propria femminilità, in particolare con il loro volto e con i loro nasi, particolarmente esposti e vistosi in un corpo, in cui oltre al volto si vede poco, pochissimo altro.
Nel complesso si tratta di un documentario, per una volta, della giusta lunghezza, forse qua e là leggermente ingenuo (nel proprio entusiasmo per la cultura iraniana) ma sicuramente riuscito e anche sorprendentemente maturo.
Cast & Credits
And, Towards Happy Alleys – regia, sceneggiatura, fotografia: Sremoyee Singh; montaggio: Joydip Das, Jabeen Merchant, Pradjatan Bera; interpreti: Jafar Panahi, Nasrin Satoudeh, Forough Farrokhzad, Aida Mohammadkhani, Mina Mohammadkhani; produzione: Happy Alleys Films (India); origine: India 2023; durata: 75′.