Death of a Virgin and Sin of the Not Living è il film di debutto del giovanissimo George Peter Barbari, regista di origine Argentina-Libanese nato a Orange County (California) e cresciuto a Batroun (Libano). Barbari si presenta al grande pubblico con un’opera ispirata alla sua vita in Libano e alla sua esperienza intorno alla sfera della sessualità e al concetto di mascolinità.
La storia si concentra sul viaggio del protagonista, Etienne, e dei suoi amici verso una casa di prostitute in cui i ragazzi perderanno la verginità. Le premesse mettono in luce una realtà fortemente maschilista che il regista cerca di destrutturare dando spazio alla sensibilità e alla vulnerabilità tanto rifuggita dai protagonisti quando innegabilmente insita nelle loro personalità. Barbari si affida a un intreccio di narrazioni interne ed esterne che si concretizzano in lunghi monologhi, flussi incontrollabili di pensieri sul senso dell’esistenza che smentiscono la sicurezza e il machismo di facciata che muove i ragazzi verso questo rito di passaggio. La sceneggiatura si affida al forte contrasto tra il dialogo superficiale tra protagonisti e la drammatica presa di coscienza personale dei monologhi. E’ proprio lo scollamento, la differenza tra l’interiore e l’apparenza, a renderci partecipi del dramma esistenziale dei protagonisti senza appesantire il corso narrativo. Se il regista sceglie un approccio delicato e poetico per lo script, allo stesso tempo si avvale di una fotografia potente con inquadrature a tratti persecutorie nei confronti dei protagonisti. La macchina da presa incombe sui dettagli espressivi degli attori, spogliandoli di tutte le sovrastrutture maschiliste a cui cercano disperatamente di aggrapparsi e lasciando trapelare ogni pensiero celato. In una scena in particolare che ritrae il rapporto tra Etienne e la sex worker Christelle, vediamo come questa transazione, così umiliante nelle sue dinamiche di potere, segnerà per sempre il protagonista.
La scena è dolorosa da guardare, non perché sia esplicita – concentrandosi in gran parte sulle loro facce – ma perché siamo inevitabilmente portati a confrontarci con la violazione di Christelle, consapevoli con il protagonista del destino della ragazza. Christelle parla con un accento siriano (informazione resa nota off-screen dalle dichiarazioni del regista alla stampa), aggiungendo un ulteriore livello di significato extratestuale dato che così tanti rifugiati siriani in Libano sono trattati con disprezzo e inferiorità. La ragazza è già nella sua tragedia, ed Etienne sta appena entrando nella sua; non c’è un’equivalenza qui, che sarebbe oscena, ma c’è sensibilità verso ognuno, e il dono della viscerale sensibilità umana che riconosce e accetta la vulnerabilità.
Death of Virgin and Sin of the not Living è una meditazione sull’ineluttabile sensibilità intrinseca nell’essere umano, su quanto poco la società e i dogmi possano fare per mettere a tacere questa componente esistenziale ed esistenzialista presente in ciascuno di noi.
Come dichiarato da Barbari :‘’Il Libano ha bisogno di un film come questo. È quello che ho continuato a ripetermi quando non speravo che questo film non sarebbe mai nato. Abbiamo bisogno di una storia che parli delle nostre rispettive lotte, lotte che potrebbero risuonare con la gente di tutto i mondo. Non conosciamo la guerra civile, la guerra in cui siamo nati e stanno ancora combattendo fino ad oggi è quella di identità, combattiamo per esistere. Non mi azzardo a credere che cambierò la società con le mie parole, o che abbia la capacità di modificare una qualsiasi delle repressioni che dobbiamo affrontare. Voglio solo condividere le mie percezioni, e spero che queste contemplazioni possano aiutare gli altri a sentirsi meno soli’’.
È chiaro come l’intento del regista sia stato reso magistralmente (nonostante la poca esperienza e la complessità dell’argomento trattato) attraverso una poetica straziante e malinconica da cui già trapela una ben precisa e distintiva cifra stilistica.
Death of a Virgin and Sin of the Not Living– Regia: George Peter Barbari; soggetto e sceneggiatura: George Peter Barbari; fotografia: Karim Ghorayeb; montaggio: Inaam Attar, George Peter Barbari; musica: Fadi Tabbal; costumi: Windy Ishak; suono: Roy Fahkry; interpreti:Etienne Assal, Adnan Khabbaz,Jean Paul Franjieh,Saad Elie Dankoura, Feyrouz AbouHassan, Thuraya Baghdadi; produzione: Reine Semaan, Christelle Younes; origine: Libano, 2021; durata: 1h27’.