Ci sono film non particolarmente riusciti ma importanti, chissà forse è proprio la loro importanza a pregiudicarne la qualità. È il caso di Der vermessene Mensch di Lars Kraume (in Italia conosciuto per Lo Stato contro Fritz Bauer del 2016), presentato a Berlino nella Sezione “Berlinale Special”. Due parole innanzitutto sul titolo: in tedesco “vermessen” significa due cose, come participio passato significa “misurato”, come aggettivo significa “ardito” in una connotazione fortemente negativa, nel senso di chi si è macchiato di una infrazione paragonabile a quella che i greci chiamavano hybris. E con tutta evidenza il regista del film gioca con questa ambiguità, dunque l’essere umano misurato (riferito alle vittime), l’essere umano smisurato (riferito ai carnefici).
Vittime e carnefici, sì, perché il film tratta uno dei capitoli più bui della già buia storia tedesca, ovvero il massacro dei Nama e degli Herero nelle colonie di quei territori che nell’ultimo scorcio del XIX secolo e nei primi anni del XX secolo vennero chiamati “Süd-West-Afrika”, ovvero “Africa Sud-Occidentale” e che adesso corrispondono grosso modo al territorio della Namibia. È opinione condivisa degli storici che quel massacro, detto in modo brutale, costituì una sorta di prova generale di ciò che una quarantina di anni dopo sarebbe stato l’Olocausto; seppur con grande ritardo si è infatti parlato di genocidio.
E il cinema (tedesco) a raccontare quel genocidio ci arriva con grandissimo ritardo, a differenza della letteratura che già a partire dagli anni ’70 cominciò a dedicare attenzione a questa pagina agghiacciante, lo fece ad esempio Uwe Timm con il suo romanzo Morenga , uscito nel 1978, che deve il suo titolo al capo dei guerriglieri Herero brutalmente sterminati dall’esercito imperiale tedesco. In realtà il film sarebbe dovuto essere proprio una trasposizione del romanzo di Timm (peraltro già trasposto per la TV negli anni ’80, ma il film non ebbe grande risonanza), ma in corso d’opera il regista e sceneggiatore ha cambiato totalmente impotsazione (Timm viene citato fra i consulenti nei titoli di coda).
Il film – che dato il contesto storico potrebbe anche arrivare in Italia (si sa, i film tedeschi a sfondo storico funzionano sempre) – è sostanzialmente diviso in tre parti, la seconda delle quale è nettamente la più lunga, troppo lunga, ed è quella ambientata in Africa. La prima e la terza sono invece ambientate in Germania, segnatamente a Berlino.
Protagonista di tutte e tre le parti è un etnologo che risponde al nome di Alexander Hoffmann (Leonard Schleicher), figlio d’arte perché anche il padre faceva lo stesso mestiere e, in una delle sue spedizioni africane, è morto tragicamente. Alexander è schiacciato da tanto lutto, da un super-io enorme e fa fatica ad affermarsi nell’accademia, anche perché sostiene opinioni non esattamente il linea con i tempi. I tempi prevedono infatti che gli africani, fin dalle misure corporee, in particolare del cranio costituiscano una razza inferiore, rispetto a quella occidentale che ancora non veniva chiamata ariana. Sostenitore indefesso di tali teorie è il professore presso il quale studia Alexander (interpretato con sapiente mestiere da Peter Simonischek, il Toni Erdmann di uno dei più film tedeschi dell’ultimo decennio). A nulla valgono le considerazioni, le osservazioni fatte sul campo da Alexander per convincere il professore delle sue teorie. Sul campo non vuol ancora dire in Africa, ma, appunto a Berlino, ché in occasione dell’esposizione coloniale del 1896 nella capitale tedesca arrivano numerosi “esemplari” delle popolazioni africane dominate con le quali Alexander prova a iniziare un confronto che vada al di là della misurazione e della mera ricerca di conferme in merito a teorie pre-confezionate.
Nel quadro di questa ricerca Alexander incontra anche una donna nera (Kezia, interpretata dalla celebre attrice namibiana Girley Charlene Jazama) con la quale nasce quanto di più vicino a una simpatia, a un amore, fatto di silenzi, di scambio intellettuale e di libri, la donna ha imparato il tedesco e funge da interprete per la delegazione. Questa relazione non fa altro che rafforzare lo scetticismo di Alexander nei confronti delle teorie vigenti e gli costa la cattedra, che va invece a uno yes-man.
I due, il vincitore e il perdente, si ritrovano nella lunga, troppo lunga, e anche abbastanza mal girata seconda parte del film, quella in Africa. Sono passati alcuni anni: le popolazioni locali sono stufe della dominazione straniera e si stanno organizzando in azioni di guerriglia, i tedeschi hanno deciso di usare il pugno di ferro, i due etnologi li accompagnano. Qui il film rivela, fin nell’iconografia, tutta la matrice politico-ideologica: i tedeschi sono, quasi senza eccezioni, degli infami, i prigionieri vengono giustiziati senza pietà, uccisi in massa, non ci sono ancora le camere a gas ma la sistematicità del genocidio è la stessa e i metodi molto molto simili. A un certo punto, verso la fine di questa lunghissima seconda parte, Alexander ritrova Kezia, non rivelerò in che funzione.
Il ritorno a Berlino nella terza e brevissima parte del film ha prodotto nel protagonista un mutamento piuttosto sorprendente, forse una delle sequenze più originali della pellicola, nell’insieme troppo lunga per le cose che aveva da dire.
Siamo certi che ciò malgrado in Germania del film si parlerà molto perché arriva in un momento storico importante; è del 2021 la risoluzione del Parlamento tedesco di procedere alla corresponsione di risarcimenti in denaro (oltreché di opere d’arte e reperti “scientifici” sottratti alle popolazioni locali). Pur non essendo certamente un capolavoro, il film contribuirà senz’altro a tener vivo nel dibattito pubblico nazionale questo argomento spinosissimo. E forse riuscirà anche a farlo a livello internazionale.
Cast & Credits
Der vermessene Mensch; regia, sceneggiatura: Lars Kraume; fotografia: Jens Harant; montaggio: Peter R. Adam; interpreti: Leonard Schleicher (Alexander Hoffmann), Girley Charlene Jazama (Kezia Kunouje Kambazembi), Peter Simonischek (Professor von Waldstätten); produzione: zero one film (Berlino); origine: Germania 2022; durata: 116’.