Cosa può scatenare la scintilla creativa di un romanzo epocale come Wuthering Heights (Cime tempestose)? Le ampie vallate dello Yorkshire, lo spirito naturalmente ribelle e inquieto di Emily, il rapporto morboso ai limiti dell’ossessivo con suo fratello Branwell (interpretato da Fionn Whitehead, già visto nella serie Black Mirror) e un tormentato amore passionale difficile da riconoscere e da tenere a bada, proprio come quello di Heatcliff e Catherine nel romanzo sovracitato.
C’è questo e molto altro in Emily, che comincia dalla fine, mostrando la nota scrittrice Emily Brontë in fin di vita circondata dalle sorelle, Charlotte e Anne – poi si apre alla narrazione generosa e sentita dell’adolescenza della protagonista, descrivendone dettagli, atmosfere, sguardi, minuzie.
Fluido, scorrevole e intimo, il film di Frances O’Connor non è un semplice Biopic, non si esaurisce nel racconto di un grande amore impossibile o in una insofferenza “creativa” al mondo chiuso e soffocante di un piccolo villaggio dello Yorkshire, ma è un insieme di luci e ombre della scrittrice a volte armonico e lineare, più spesso anarchico e tortuoso, proprio come sono le emozioni fuori controllo, gli impulsi creativi, le oscillazioni emotive dell’esistenza.

Qui al suo esordio nel lungometraggio, l’attrice, sceneggiatrice e ora anche regista australiana (anche se nata in Inghilterra) si muove tra i paesaggi nostalgici di Haworth, il ticchettio della pioggia, e le balle di fieno giocando finemente con l’esplosione di emozioni filtrate dallo sguardo intenso, misterioso e profondamente vivo di Emma Mackey, (già vista e apprezzata in Sex education) che veste i panni di una Emily inquieta, libera, ribelle, senza forzare mai la mano, senza “osare” un gesto di troppo o uno sguardo inopportuno.
Le basta parlare con gli occhi per suggerire l’ardore di un amore che sta per esplodere; l’abbraccio ad un lenzuolo bianco, che separa lei da Branwell, le è sufficiente per esprimere l’attaccamento ossessivo verso il fratello, a cui si sente legata in modo fortissimo; le labbra serrate e chiuse in una smorfia mostrano tutta la sua repulsione nei confronti delle regole imposte da un padre amorevole quanto severo e autoritario.
Whutering Heights viene pubblicato per la prima volta nel 1847, nello stesso anno di Jane Eyre, il romanzo di Charlotte Brontë e di Agnes Grey, scritto dalla più piccola delle tre sorelle, Anna.
Quello della famiglia Brontë è quindi un contributo non indifferente al mondo della letteratura, poiché, oltre al già citato Wuthering Heights il trio al femminile ci ha lasciato il talento della sorella maggiore Charlotte, e quello della più giovane Anne, poetessa e scrittrice, di cui si ricorda maggiormente La signora di Wildfell Hall del 1848. Una famiglia colta e istruita legata dalla passione per la scrittura e per l’arte, un trio di sorelle definite “strane” in un mondo antico, legato ancora a rigide convenzioni e regole prestabilite.
In Emily è soprattutto lei, assieme al fratello, quella “diversa”, inusuale, geniale ma difficile, scostante, indefinibile, poco lineare.
A partire dalla morte della protagonista e dalla nascita di Cime Tempestose, lo sguardo di O’ Connor si apre al racconto del mondo puritano dove fioriscono, insolitamente, il genio letterario delle tre sorelle.
Nella famiglia si respira una malinconia strisciante. La scomparsa della madre ha reso il reverendo Patrick (Adrian Dunbar), curato di Haworth, un tiranno nei confronti delle figlie, severo e rigido. Vorrebbe per loro una tediosa vita da insegnanti a Bruxelles. Emily e il fratello che vivono in simbiosi, si ribellano, escono fino a notte tarda, urlano al vento parole come “freedom in thougts”, “libertà di pensiero”, mentre intorno si respira un’aria soffocante e poco aperta alle novità.
I due costituiscono un mondo a parte in un nucleo di partenza già difficile. L’ equilibrio già precario si infrange con l’arrivo in casa Brontë di William Wieghtman (un affascinante Oliver Jackson-Cohen) Il tenebroso e affascinante pastore che insegna francese a Emily, la seduce e l’abbandona, divorato da un senso di colpa per una passione che non sa mettere a tacere. La stessa passione tormenterà la ragazza per l’abbandono subìto, ma sarà anche d’ ispirazione per il suo grande romanzo.
Alcuni dettagli del film sembrano verosimili, altri, frutto di creatività. O’ Connor non mira a ricostruire nel dettaglio l’esistenza della poetessa, ma a restituirne, per quanto possibile, il mondo interiore, le contraddizioni, il tumulto e l’atmosfera familiare in cui la scrittrice è cresciuta, vivendo a tratti serenamente, più spesso in maniera tormentata.
Emily non vuole essere quindi un ritratto fedele e minuzioso della vita della poetessa e scrittrice. E per fortuna, perché alcuni Biopic sono soffocati proprio dall’esigenza di rimanere fedeli alla ricostruzione reale. Ciò che conta qui, è la restituzione del suo mondo intimo ed emotivo.
Si tratta dunque di un film ispirato in cui la passione gioca un ruolo fondamentale, perché l’inquietudine della protagonista si percepisce ovunque e il sentimento è vissuto da Emily in silenzio, al riparo dagli sguardi indiscreti. Lo stesso amore diventa, in un secondo momento, un serpente strisciante, logora interiormente perché non può essere dichiarato ed espresso. Provoca gioia ed eccitazione, poi però logora, ferisce e porta all’abbandono in solitudine. E sarà proprio quel senso di emarginazione, unito all’ urgenza di mettere su carta l’ardore e il tumulto interiore personali a permettere la nascita di Cime tempestose, unico e splendido romanzo pubblicato da Emily Brontë.
Ottimo esordio alla regia per Frances O’Connor che confeziona un racconto intimo, personale e generoso mettendo in luce il carisma della giovane Emma Mackey, finalmente qui, in un ruolo da assoluta protagonista.
In sala dal 15 giugno
Emily – Regia e sceneggiatura: Frances O’Connor; fotografia: Nanu Segal; montaggio: Sam Sneade; musiche: Abel Korzeniowski; interpreti: Emma Mackey, Fionn Whitehead, Oliver Jackson-Cohen, Alexandra Dowling, Amelia Gething, Adrian Dunbar, Gemma Jones, Elijah Wolf, Philip Desmeules, Robert Pickavance, Harry Anton, Darren Langford, Gerald Lepkowski, Sacha Parkinson; produzione: Tempo Productions Limited, Ingenious Media, Popara Films; durata:130 minuti; distribuzione: BIM.