Indispensabile premessa prima di iniziare la recensione. Le decisioni di una giuria sono indiscutibili ma spesso imperscrutabili, come ad esempio nel caso presente, quello dei premi assegnati al neo Concorso della Festa del Cinema del 2022 che da questo anno è stato ufficialmente riconosciuto come Festival Competitivo dalla FIAPF (Fédération Internationale des Associations de Producteurs de Films). Detto ciò, il fatto che solo due opere, lasciando a mala pene le briciole agli altri, abbiano fatto l’incetta nella premiazione – miglior film, miglior regia e il miglior attore cioè il protagonista Karlis Arnolds Avots – a Janvaris di Viesturs Kairišs mentre Jeong-Sun di Jeong Ji-hye ha ricevuto il Gran premio della Giuria e quello per la migliore protagonista Kim Kum-Soon, lascia un poco perplessi. Non abbiamo visto tutte le opere del Concorso romano, diciamo circa tre quarti e quindi ci limitiamo ad una considerazione dubitativa: ci sembra comunque, da quanto possiamo giudicare, che pur attestandosi la qualità generale su un livello diremmo medio, certo senza particolari eccellenze, una maggiore distribuzione dei riconoscimenti avrebbe fatto più giustizia, senza questa eccessiva polarizzazione, agli sforzi degli organizzatori di mettere su una decente Competizione internazionale.
Partendo da questa considerazione, pur avendo ricevuto già al Tribeca Film Festival di questo anno il massimo riconoscimento nel International Narrative Competition, January – così il titolo originale – non ci sembra allora un’opera che vada al di là delle sue nobili intenzioni, di tale qualità tanto da giustificare ben tre premi. Essa forse ha, per così dire, “approfittato” di un duplice bonus: quello della ormai diffusa, attuale antipatia per quanto è o è stato russo e/o russo-sovietico, e l’esibizione dell’amore per il cinema. Ci stanno ovviamente entrambi i fattori, per carità, ma ciò non ci deve sentirci autorizzati a pensare che così si possa fare automaticamente un buon film.
Cosa che prova comunque a fare con questo ultimo lavoro, il suo quinto lungometraggio, Viesturs Kairišs, classe 1971, un cineasta poco noto a livello internazionale ma che ha alle spalle una carriera di tutto rispetto come autore, oltre che di cinema, anche di teatro e di Opera.
Siamo a Riga in un gennaio fatidico, quello del 1991, in un’epoca di transizione tra la fine dell’Urss e la proclamazione dell’Indipendenza delle Repubbliche Baltiche quando appunto Kairišs non aveva compiuto neanche vent’anni – e il ricordo di quel periodo fondamentale della giovinezza ribelle e avventurosa è stata, molto probabilmente, il motore centrale, forse autobiografico, che ha informato il suo film.
Infatti, seguiamo un diciannovenne, Jazis, (Karlis Arnolds Avots) che si trova a filmare la polizia russa la quale ha sequestrato la sala stampa statale per impedire agli occupanti di pubblicare ulteriori notizie secondo cui la Lettonia sta per diventare uno stato indipendente. Tuttavia, il ragazzo malgrado il pericolo corso, con un padre comunista e una madre invece di diverse idee politiche, resta ancora abbastanza neutrale sul piano politico – quelle riprese sono state più un colpo di testa adolescenziale che un atto di serio attivismo rivoluzionario – e passa le sue giornate all’Accademia d’Arte della città dove finisce di conoscere Anna (Alise Dzene). L’amore per il cinema di Bergman, di Tarkovskij o Jim Jarmusch (conosciuto tramite delle cassette pirata di Stranger than Paradise) si mischia e si sovrappone con quello per la ragazza con cui presto condividerà la passione per il cinema oltre all’ansia di conoscere il mondo e confrontarsi con gli eventi storico-politici incalzanti. Ovviamente nasce un problema quando Anna riesce a fare uno stage con il già celebre documentarista lettone Juris Podnieks, una figura carismatica, uno dei più promettenti registi lettoni, che è morto a soli quarantadue anni nel 1992 e a cui, così, dunque, Kairišs dedica una sorta di tributo. Ed in quel momento scatta la gelosia e quanto ne consegue…
Tra cinema-politica-amore adolescenziale, January diventa allora una classica, abbastanza scontata, storia di Formazione o come dicono gli americani di Coming of Age sino al suo (semi) happy-end. Una storia quindi non particolarmente originale ma che possiede in ogni caso il merito di ricordare un momento storico capitale in cui i materiali d’archivio dell’epoca si intrecciano senza soluzione di continuità a palpiti di tenera malinconia o di sentimenti profondi, sullo sfondo di un rivolgimento epocale quando il mondo di ieri sta tramontando e ne inizia un nuovo. Affascinante forse ma anche piuttosto scontato.
Janvaris (January) – Regia: Viesturs Kairišs; sceneggiatura: Andris Feldmanis, Viesturs Kairišs, Livia Ulman; fotografia: Wojciech Staron; montaggio: Armands Zacs; musica: Juste Janulīte; interpreti: Karlis Arnolds Avots, Baiba Broka, Rudolfs Cirulis, Alise Danovska, Aleksas Kazanavičius, Sandis Runge, Juhan Ulfsak; produzione: Inese Boka, Kestutis Drazdauskas, Gints Grube per Artbox, Latvian Film Fund, Mistrus Media, Staron Film; origine: Lettonia, Lituania, Polonia, 2022; durata: 94’.