Festa del Cinema di Roma I nostri ieri di Andrea Papini (Alice nella Città – Panorama Italia Concorso)

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La settima arte, in fondo, è una forma di segregazione. Lo sa bene Luca (Peppino Mazzotta), documentarista eternamente insoddisfatto e insegnante di cinema presso un penitenziario. I suoi allievi sono, con ogni probabilità, ex-malavitosi, ex-rapinatori, ex-assassini, ex-spacciatori: eppure, noi non li vediamo come criminali, bensì come individui dotati di un nome, di un volto, di un’anima. Fatichiamo quasi a credere che, dietro a quegli occhi stanchi e ad un umorismo dai tratti fatalisti, si nasconda l’Indicibile – un delitto, ad esempio.

Andrea Papini, qui ormai giunto al suo quinto lungometraggio, ci racconta I nostri Ieri, ovvero: i dolorosi giorni che condussero cinque esseri umani dietro le sbarre di un carcere immaginario e immaginato. Sì, perché a sognare una possibile evasione non sono soltanto i detenuti, ma anche i personaggi che attorno a loro si muovono – dal protagonista, incatenato ad una solitudine polverosa e claustrofobica, a sua figlia Greta (Denise Tantucci), irrimediabilmente rinchiusa in una libertà tutta fughe, aeroporti e prestigiosi college oltreoceano.

Per tentare di dare un senso alla propria emarginazione, Luca decide di girare un nuovo film, questa volta ponendo i suoi stessi alunni al centro del palcoscenico. Ad attirare la sua attenzione è un certo Beppe (Francesco Di Leva), un camionista dal passato turbolento e su cui grava la spada di Damocle dell’omicidio. Beppe è una creatura schiva e indecifrabile, un’anima introversa attorno alla quale aleggia un’omertà vagamente impaurita. I compagni lo considerano “strano”: forse si tratta di un meccanismo difensivo. Nessuno vorrebbe interfacciarsi con i propri Ieri, nessuno desidera riaprire un vecchio diario, nessuno sfoglia volentieri le pagine di un brutto libro. E infatti, in galera così come succede nella sceneggiatura di Papini, nessuno parla per comunicare, ma soltanto per accelerare il corso di un tempo che sembra fluire con innaturale lentezza.

L’intera pellicola pare dominata da un silenzio e da un torpore esperibili, forse, soltanto in prigione: abbiamo l’impressione che le lancette dell’orologio si arrestino, che i minuti si distendano fino a trasformarsi in ore, in giorni, perfino in anni. Quando Beppe decide di raccontare “la sua versione” e di riplasmare, attraverso la cinepresa, i suoi funesti Ieri, l’effetto è devastante – ma né Luca, né i parenti della vittima sono disposti ad ammetterlo. Almeno, non ad alta voce.

Entra così in scena Lara (Daphne Scoccia), sorella della donna che Beppe uccise in un’epoca apparentemente lontana, in un mondo irreale e desolato. Luca la incontra quasi per caso, sul litorale in cui si consumò la tragedia, fra le rive di un mare insolitamente blu e un’enorme spiaggia che sembra ergersi ai confini della realtà a noi nota. Anche Lara, come chiunque all’interno di questo dramma ombratile, conduce un’esistenza ai margini – un’esistenza, per molti versi, consacrata e condannata al mutismo: per sbarcare il lunario, la ragazza lavora come fotografa in uno strip club e aiuta i genitori in panetteria. In breve: anche Lara, come chiunque all’interno di questo dramma ombratile, cerca invano di convivere con lo spettro dei propri ingombranti Ieri.

La piccola-grande avventura cinematografica di Luca si rivela però un’impresa assai ardua: i fotogrammi gridano le parole silenziose che i personaggi non riescono a dirsi, ognuno si chiude in sé stesso per paura di sfiorare ciò che non deve essere sfiorato. Beppe ripercorre la strada che cambiò il corso della sua vita, raccontando il delitto con la voce impassibile di chi l’ha commesso e ancora non se ne capacita. L’interprete della vittima (la quale, a sua volta, assume le sembianze di Maria Roveran) si sfila i tradizionali panni di attrice per indossare quelli di un fantasma, scendendo i gradini dell’abisso in cui gli Ieri del suo assassino si gettano. Eppure, l’impassibilità e l’angoscia regnano sovrane sul pubblico, sul cast, sul regista stesso: una strana e inspiegabile inerzia allunga la sua mano fra le mura del carcere, così come fra le sbarre di uno spazio esterno che dovrebbe essere libero e invece non lo è.

Andrea Papini allestisce un notevole gioco a incastri, una matrioska cinematografica dentro la quale si nascondono e s’intrecciano innumerevoli cornici narrative. Il film è, in pratica, un film dentro a un film dentro a un altro film – che è come dire una cella dentro una cella dentro un’altra cella dentro la smisurata prigione che la macchina da presa costruisce per noi.

Da questo penitenziario non si esce, nemmeno in maniera metaforica: l’autore indugia nella sua tana, intrappolandoci in catene pesantissime che rallentano la nostra corsa verso l’epilogo. E tale epilogo, come se non bastasse, non apre nessuna porta verso nessuno scampolo di libertà. La pena di Beppe è impossibile da scontare, la ferita di Lara sembra destinata a rimanere aperta in eterno e, in un effetto domino nel quale realtà e finzione (o finzione e finzione) s’incontrano, perfino l’interprete della defunta sorella finisce per smarrirsi negli Ieri di qualcun altro. Un po’ come succede a noi, una volta spento il proiettore e riaccese le luci.


Cast & Credits

I nostri ieri – Regia: Andrea Papini; sceneggiatura: Andrea Papini, Manuela Tovo; fotografia: Dario Di Mella; montaggio: Maurizio Baglivo; interpreti: Peppino Mazzotta (Luca), Beppe (Francesco Di Leva), Daphne Scoccia (Lara), Maria Roveran (interprete della vittima) Denise Tantucci (Greta); produzione: Atomo Film con il sostegno di MiC Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, Emilia Romagna Film Commission, Regione Lazio Fondo Regionale per il Cinema e l’Audiovisivo; origine: Italia 2022; durata: 117’.

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