Festa di Roma: La storia di Francesca Archibugi (Primo e secondo episodio)

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Parliamoci chiaro: a torto o a ragione, nell’immaginario collettivo la fiction Rai, a partire dal nome (chi parla più di fiction nell’era delle “serie” dilaganti?) evoca immediatamente un’immagine un po’ vetusta e obsoleta, da sceneggiato anni ’80. Prodotti peraltro eccellenti – si pensi anche solo a Il mulino del Po di Sandro Bolchi, La cittadella di Anton Giulio Majano; fino a Sandokan o a Il corsaro nero di Sergio Sollima  – ma molto poco up to date. Un prodotto da piccolo schermo, insomma.

Ecco, la visione dell’ultimo adattamento de La Storia – di cui alla Festa del cinema sono stati mostrati i primi due episodi – a tutto fa pensare fuorché a qualcosa di “televisivo”, come suol dirsi in senso vagamente dispregiativo. Ciò che balza agli occhi prepotentemente, seducendoci, è invece la munificenza produttiva dell’opera, che è del resto una co-produzione internazionale italo-franco-tedesca (oltre a Rai Fiction e Picomedia, ci sono Betafilm e Thalie Images). Lo si nota nelle credibilissime scenografie di Ludovica Ferrario, nei sontuosi costumi di Catherine Buyse e Valentina Monticelli; ma anche in un copione molto ambizioso, scritto da autori di vaglia del calibro di Francesco Piccolo e Giulia Calenda, cui si somma la giovane scrittrice pugliese Ilaria Macchia, già notata nella squadra di sceneggiatori di Petra.

Un cinema – scapperebbe da dire, anche se è tv: la serie andrà in onda sulla Rai all’inizio del 2024 – colto e civile, sanamente progressista; didattico e didascalico, nella miglior accezione del termine; di cui purtroppo abbiamo ancora bisogno, se un secolo dopo l’epoca dei fatti dobbiamo ancora inocularci delle sacrosante dosi di antifascismo. Un cinema maieutico si direbbe, come è di solito quello realizzato dalla sua regista, Francesca Archibugi, in questo degnissima erede del suo mentore Furio Scarpelli; che insegna a vivere senza annoiare, divertendo nel senso più nobile del termine. In modo persino spettacolare, grazie alla maestria del più dotato (almeno per noi) direttore della fotografia italiano vivente: Luca Bigazzi. Basterebbe osservare la tragica scena del bombardamento del quartiere romano di San Lorenzo (che reca ancora oggi i segni di quella tragica pagina di storia), girato e montato in modo impeccabile.

Come sa bene chi ha letto il romanzo di Elsa Morante o guardato l’adattamento di Luigi Comencini del 1986, la serie narra la storia di Ida Ramundo (Jasmine Trinca), maestra integerrima e modesta che scopre di essere per metà ebrea, nell’attimo esatto in cui il regime di Mussolini promulga le infami leggi razziali. Al suo fianco c’è il vitalistico Nino, figlio di un padre defunto; e Giuseppe detto Useppe, frutto di una violenza carnale. Quindi Remo, oste antifascista con toupet e baffi (è la seconda volta alla Festa del cinema dopo C’è ancora domani) di Valerio Mastandrea. Le prossime puntate lasceranno spazio a guerra e a dopoguerra, dittatura fascista e lotta antifascista; e ad altri tasselli di un mosaico che includerà tra gli altri anche Elio Germano (nel ruolo di un partigiano comunista), Asia Argento (una prostituta innamorata) e Lorenzo Zurzolo (un anarchico ebreo). Finora il talento più sbalorditivo è stato quello del giovanissimo Francesco Zenga; che fornisce di Nino un ritratto incisivo e autorevole, data l’età.

Un cinema didascalico dicevamo, ma emozionante e qua e là persino commovente; che descrive come meglio non potrebbe la gaglioffaggine proterva dei giovani fascisti che si nutrono certamente dello spirito di tempi pervasi da un nazionalismo isterico, ma sono aiutati a sbagliare dall’ignoranza sesquipedale di chi preferisce bighellonare anziché studiare: da questo punto di vista, la contrapposizione polare con Ida, maestra figlia di maestri, è esemplare.

Uno spirito etico-pedagogico questo, piuttosto scontato in prodotti siffatti, pervasi di un sentimento programmaticamente “educational” (come Rai comanda), anche se – come si diceva – ancora drammaticamente necessario. Ciò che spicca invece sono certi dettagli meno apparenti e tutto sommato inattesi, che donano credibilità e forza al quadro tratteggiato dai suoi autori: il racconto struggente della morte del tedesco in guerra ha qualcosa di ineluttabilmente ingiusto che rivolta le coscienze (sull’inanità della guerra di trincea la pagina più scandalosamente brutale l’ha scritta quest’anno Niente di nuovo sul fronte occidentale che ha vinto l’Oscar), l’ingenua tracotanza con la quale Nino aderisce alle parole d’ordine fasciste fa al tempo stesso rabbia e tenerezza; le affettuosità spudorate tra il piccolo Useppe il cane Blitz fanno da stridente contraltare alla follie dell’antisemitismo e dei venti di guerra che avvelenavano allora il Paese.

E si potrebbe continuare. Per dire, sostanzialmente, che questa serie di Rai Fiction sembra quasi cinema ma è soprattutto molto simile alla buona letteratura popolare, come era quella di Elsa Morante (800.00 copie vendute solo nel 1974, l’anno della sua pubblicazione; e poi diffusione in 20 diversi paesi); che è ieri come oggi il miglior antidoto contro l’idiozia della violenza. Una sciocca ovvietà, che però ci dobbiamo ancora ripetere; negli anni ’40 del secolo scorso come nei ’20 di quello presente.


CREDITS & CAST

La Storia  – Regia: Francesca Archibugi; soggetto: Giulia Calenda, Ilaria Macchia, Francesco Piccolo (dal libro omonimo di) Elsa Morante; sceneggiatura: Giulia Calenda, Ilaria Macchia, Francesco Piccolo, Francesca Archibugi; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Ilaria Fraioli; produzione: Picomedia, Thalie Images, Betafilm, Rai Fiction; origine: Italia, Francia, Germani 2023; durata: 8 episodi; distribuzione: 01 distribution

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