Grazie al restauro in 4k di Cinecittà, rivede la sala 20 anni dopo L’isola, il primo lungometraggio di finzione di Costanza Quatriglio, oggi direttrice del Centro sperimentale di Palermo allora promettente filmmaker. Dopo questa parentesi “semi-fictional”, la regista palermitana si è dedicata ancora a documentare la realtà adoperando i codici del cosiddetto “cinema del reale”, toccando la vetta di notorietà con Terramatta che si aggiudicò il Nastro d’argento per il miglior documentario del 2013.
Il film presentato alla 18^ Festa del cinema di Roma, è bensì un “film di finzione” – come si diceva sopra – però davvero in un’accezione molto peculiare, considerato che quasi tutti gli attori del cast sono “presi dalla strada”, come usava ai tempi del cinema neorealista; che infatti costituisce uno dei modelli di riferimento della Quatriglio. In particolare viene in mente un autore come Roberto Rossellini, e il suo Stromboli (Terra di Dio), di cui si cita una terribile scena di mattanza di tonni.
L’isola è ambientato alla Favignana, la più vasta delle isole delle Egadi, che è a tutti gli effetti uno dei protagonisti del film; gli altri sono i suoi abitanti, principalmente una coppia di fratelli, Turi e Teresa, interpretati da due giovani attori non professionisti: Ignazio Ernandes e Veronica Guarrasi. Accanto a loro si muove una comunità insulare dedita ad attività consuete, principalmente la pesca, mestiere del capofamiglia, interpretato dall’unico professionista del cast, Marcello Mazzarella, attore teatrale che un paio d’anni prima era balzato agli onori delle cronache indossando i panni del sindacalista Placido Rizzotto nel film omonimo di Pasquale Scimeca. L’unica altra eccezione all’anonimato programmatico del cast è costituita dallo scrittore ed ex militante di Lotta Continua, Erri De Luca, nei sintomatici panni di un meccanico detenuto in semi-libertà
La trama è esilissima, pressoché invisibile: sostanzialmente basata sui tormenti del giovane Turi indeciso se ricalcare le orme del padre “tonnaròtto” (il pescatore della ciurma addetta alla tonnara, agli ordini del rais) tentato però dalla scelta di percorsi autonomi per cui si sentirebbe più adeguato: il marinaio, il vaccaro, o al limite pescare da riva con la canna. La trama è invisibile perché non è questo che qui interessa raccontare.
Grazie a una scelta di campo nient’affatto casuale ma estetica, etica e persino politica, Costanza Quatriglio sceglie scientemente di obliterare le scene-madri sposando l’enfasi dell’ordinario, e optando per un ritmo recisamente anticonformista, estenuato e rarefatto. Il racconto della regista si dipana dunque grazie a un susseguirsi di immagini auto-eloquenti che ritraggono scene di vita vissuta altrove ritenute irrilevanti: rapporti parentali domestici, scene di pesca, lavori d’officina, la gestione di un bar, la cardatura delle reti, piccoli lavori di muratura, iI parto di una vacca; al massimo la stentata lettura scolastica di Teresa o una poesia mandata malamente a memoria da Turi.
E ancora, la dura legge del mare che impera in un’isola ancora semi-selvaggia dove in inverno anche una destinazione prossima come Trapani può rivelarsi una meta irraggiungibile, se imperversa l’”acqua del cielo” come la chiamano laggiù. E qui interviene rapsodicamente la tromba di Paolo Fresu, che apre a momenti di ermetico lirismo commentando le immagini degli sconfinati paesaggi sottomarini
Anche i dialoghi non derogano da questa regola aurea: sono recitati in un dialetto siculo che rende indispensabili i sottotitoli, e insistono su argomenti che nel cinema mainstream sarebbero considerati trascurabili e confinati nel fuoricampo. Non qui, dove sembra imperare una poetica agli antipodi di quella anche nobilmente commerciale, che Sir. Alfred Hitchcock ebbe a sintetizzare icasticamente così: “Il cinema è la vita con le parti noiose tagliate”. Qui non solo non vengono tagliate le parti noiose, ma assurgono a una centralità narrativa e stilistica programmatica e quasi provocatoria.
Tanto che la sola scena madre del film, riguarda soltanto in parte gli esseri umani, e solo nel loro scontro per sopravvivere contro la natura selvaggia; come in una pagina di letteratura verghiana, come in una fotografia di Sebastião Salgado, come in un documentario di John Flaherty: è la già menzionata mattanza dei tonni, terribile, tragicamente annegata nel sangue degli animali disperati. Solo la bambina lo capisce, però, esclamando timida: “Ma i tonni piangono!”
Ai tempi della prima release del film, nel 2003, critici e giornalisti cinematografici parlarono di retaggi del cinema iraniano, e in particolare dell’allora imperante estetica rarefatta delle opere del compianto Abbas Kiarostami, che a sua volta si ispirava dichiaratamente alla tradizione del neorealismo italiano. Per altri scattò il sin troppo ovvio parallelismo con Respiro di Emanuele Crialese, uscito pochi mesi prima, anche solo per l’ambientazione siculo-insulare (in questo caso si trattava di Lampedusa) e pervia dei protagonisti ragazzini. Oggi chissà cosa si direbbe? In tutti i casi: bentornata L’isola!
CREDITS & CAST
L’isola – Regia e sceneggiatura: Costanza Quatriglio; fotografia: Aldo Di Marcantonio; montaggio: Babak Karimi, Costanza Quatriglio; interpreti: Veronica Guarrasi, Ignazio Ernandes, Marcello Mazzarella, Erri De Luca; produzione: Rean Mazzone e Elisa Resegotti per Dream Film; origine: Italia, 2023; durata: 103 minuti; distribuzione: Istituto Luce – Cinecittà.