Festa di Roma: Fremont di Babak Jalali (Concorso)

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Donya è una ragazza che prepara biscotti della fortuna in una fabbrica nella Chinatown di San Francisco. Vive a Fremont, a 60 chilometri di distanza dal posto di lavoro, in un centro residenziale abitato da rifugiati afgani come lei. La sua vita è meccanica, come una macchina dei biscotti, ma il suo meccanismo è inceppato. Vive sospesa tra due mondi distanti e uno di questi, la sua casa, la riporta indietro, al passato, alla fuga dal suo Paese, al senso di colpa di aver lasciato indietro i cari. In Afganistan faceva la traduttrice per l’esercito statunitense, ma oggi non sa più tradurre quel che prova. Preferisce essere intrappolata nei propri automatismi che far affiorare ciò che prova nel linguaggio. Sarà la promozione a scrittrice dei biglietti per i biscotti e l’inizio di una terapia con uno psicologo a sbloccare la sua parola, a riattivare il proprio meccanismo.

Il bianco e nero e la predilezione per inquadrature lunghe e statiche astraggono le figure e permettono di cogliere l’emergere dell’ironia dalle situazioni. Al tempo stesso fanno aderire il film del regista iraniano-inglese Babak Jalali al suo modello, cioè i film di Jim Jarmusch. Anche solo il titolo e il poster del film non possono che ricordare Paterson (2016). Ma qui la stessa variazione dal prototipo è inceppata, incapace di aderirvi proprio a causa dell’identificazione con una protagonista traumatizzata. Per la figura principale di Fremont, in Concorso a Roma nella sezione “Progressive Cinema”, infatti, non c’è nulla di poetico nel quotidiano. La strada, così centrale nel cinema del regista dell’Ohio, è tagliata fuori dal film, malgrado sia parte integrante del quotidiano della protagonista. Per Donya esistono solo i suoi mondi separati, i suoi confortevoli interni. Se la strada esiste è solo come transizione, passaggio necessario ma automatico, non occasione per errare.

Il formato 1,33:1 stringe l’inquadratura sui volti dei personaggi come fosse un ritratto, mentre nelle inquadrature più ampie come le scene dallo psicologo ben si adatta al gioco di simmetrie. L’inquadratura racchiude un proprio mondo separato da tutti gli altri, come una monade non comunicante con le altre. I primi piani del volto così aquilino della protagonista ricordano la Lady Bird (2017) della Gerwig ed effettivamente il film si può leggere anche come ritratto generazionale di una donna complessa. Ma lo stile astrae la figura di Donya rivelandola piuttosto come una donna complessata, come se la complessità in lei fosse uno scudo con cui cerca di proteggersi dagli altri. In questo modo il film, grazie all’ottima prova e dedizione di Anaita Wali Zada, al suo primo ruolo attoriale, funziona anche meglio rispetto ai tanti film di donne complesse prodotti negli ultimi anni.

Due sono le figure che permettono alla protagonista di abbattere i suoi scudi protettivi: il bislacco psicologo, interpretato dal comico Gregg Turkington, che vede nella condizione di Donya una metafora di Zanna Bianca; un meccanico (un Jeremy Allen White che sembrerebbe proprio uscito da un film di Jarmusch) incontrato per caso dalla protagonista durante l’unico viaggio a zonzo in auto. Figure assimilabili, dedite alla cura, che spingono la ragazza a lasciar perdere i propri automatismi e abbandonarsi finalmente all’incontro, all’imprevisto.

 In una scena il capo cinese ricorda a Donya come Cina e Afganistan abbiano un confine in comune, culture simili. Quella della ragazza è quindi una terapia della somiglianza: l’apertura a un incontro diventa possibile solo nel momento in cui comprende che il suo mondo non è separato ma confina con il mondo dell’altro. Anche il film ne prende consapevolezza e aderisce finalmente al modello jarmuschiano giungendo a un poetico finale.


FremontRegia: Babak Jalali; sceneggiatura: Babak Jalali, Carolina Cavalli; fotografia: Laura Valladao; montaggio: Babak Jalali; musica: Mahmood Schricker; interpreti: Anaita Wali Zada, Gregg Turkington, Jeremy Allen White; produzione: Marjaneh Moghimi per Butimar Productions, Rachael Fung per Extra A Productions, Sudnya Shroff, George Rush, Chris Martin, Laura Wagner, Blue Morning Pictures; origine: Stati Uniti, 2023; durata: 92 minuti.

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