Lo scorticamento di una pecora, la nascita di un agnello. La corsa sfrenata di un gregge, il controllo esercitato dal cane-pastore. Le immagini vanno e vengono, troppo sfuggenti per trattenersi sullo schermo, ma tornano, come il ciclo delle stagioni, quello di vita e morte. El Eco è una comunità rurale persa nel Messico. Qui la vita si inizia a comprendere dal succedersi perpetuo. L’omonimo film della regista salvadoregna-messicana Tatiana Huezo, a cui quest’anno il Festival dei Popoli dedica una retrospettiva, si immerge con dedizione assoluta nell’atmosfera e nei tempi naturali della sua comunità, frutto di 4 anni di osservazione quotidiana.
Lo sguardo si pone ad altezza bambino, quei bambini che popolano la comunità e che fin da giovane età aiutano nel lavoro sui campi, nell’allevare gli animali. Sono bambini che devono crescere in fretta. Per questo osservano la morte, lo scorticamento della pecora. Tatiana Huezo segue in particolare tre famiglie ma a nessun soggetto affida lo sguardo di El Eco (2023). Piuttosto, l’identificazione sfugge continuamente, va e viene come le immagini del film.
Un’anziana signora viene lavata in una tinozza da figlia e nipote. Fu la prima donna ad abitare quelle terre, a lavorarle. Ora si sente inutile. Qui essere, vuole dire essere utile: le piante servono per curarsi, gli animali per sfamarsi, anche i bambini, a differenza della nostra cultura, servono a qualcosa e non sono solo passivi soggetti in attesa che qualcuno gli instilli la conoscenza così che la loro vita possa cominciare. Piuttosto sono i bambini a insegnare, anche se solo a pupazzi.
Un film fatto di piccole vibrazioni, prima di tutto quelle vibrazioni della conoscenza da parte dei bambini che nell’osservare il succedersi degli eventi imparano a conoscere a poco a poco il mondo. Come in Alcarràs (2023) di Carla Simón vediamo bambini alla guida di un’automobile abbandonata, un’immagine che rimanda a un ambiente sospeso nel tempo che i bambini rivitalizzano. Sono bambini al volante di una comunità che rischia di scomparire, come l’anziana nonna. Ma a vibrare è anche la natura: un fulmine che spezza il cielo, il fiume d’acqua che viene giù da un temporale, l’inquietudine della notte. La notte genera paura non solo negli abitanti allarmati da attività illegali di diboscamento, ma anche negli animali e nei bambini, come se tutti fossero connessi da una comune tensione. Qui si genera il mito, i racconti di streghe intorno al fuoco.
Nelle opere precedenti, Tatiana Huezo aveva esplorato l’impatto violento di guerra e narcotraffico per i soggetti più vulnerabili come le donne. Anche qui s’immerge in una comunità perlopiù femminile per cogliere la fragile sensibilità femminile ma il tono è molto meno oppressivo, la vita molto più accogliente. Il racconto sembra però quasi limitato dalla sfuggevolezza dello sguardo e dai confini spaziali della comunità. A un certo punto una ragazza decide di fuggire per andare a vivere in città, una rottura che la regista non può seguire e che avrebbe potuto generare molta più ambiguità in un racconto fin troppo immerso nella propria materia da riuscire mai a trascenderla.
El Eco – Regia: Tatiana Huezo; sceneggiatura: Tatiana Huezo; fotografia: Ernesto Pardo; montaggio: Lucrecia Gutiérrez, Tatiana Huezo; musica: Leonardo Heiblum, Jacobo Lieberman; interpreti: Montserrat Hernández Hernández, María de los Ángeles Pacheco Tapia, Luz María Vázquez González, Sarahí Rojas Hernández, William Antonio Vázquez González, Uriel Hernández Hernández, Ramiro Hernández Hernández, Berenice Cortés Muñoz, Andrea González Lima; produzione: Tatiana Huezo e Dalia Reyes per Radiola Films, Doris Hepp per ZDF/Arte, Michael Weber e Viola Fügen per The Match Factory Productions; origine: Messico/Germania, 2023; durata: 102 minuti.